Finiva Agosto

L’ultima volta che mi sono tagliata con un coltello ti ho pensato. Affettavo un peperone e la lama è affondata nella carne. Quando ho portato il dito alle labbra, il sapore del sangue mi ha ricordato te.

– Questa è l’ultima volta che ci sentiamo, stai bene

Poi avevo bloccato il tuo numero e il contatto su Whatsapp, Facebook e Messenger.
Era Agosto. Finiva l’estate e finivamo anche noi.
Era iniziata con un “perché no” e una serie di messaggi.
Ti va di lasciarmi il numero? Perché no. Quasi tutto parte con quelle due innocue parole.
Ci vediamo per un aperitivo? Perché no. E ti ritrovi all’una di notte a bere vino rosso e a barcollare per la città.
Ti va se vengo da te? Perché no. E non te ne eri più andato fino alla sera dopo.
Perché no, poi attese e speranze vane, incazzature, dolori e quel tratto di autostrada percorso decine di volte. Mezz’ora spaccata da casello a casello. Eppure. Eppure da quello spiraglio di possibilità – non un sì pieno, non un no convinto – filtra la luce. L’idea che ci siano più strade da percorrere è elettrizzante. Sentirsi vivissimi su quella sbagliata e infilarsi dritti dritti in un meccanismo circolare, rifiutare la linearità del percorso più sicuro, ma non quello più amato. Perché no?

Poi era arrivato Agosto, il mese delle ultime volte. L’ultima volta che bevo, l’ultimo gelato prima della dieta, l’ultimo saluto agli amici del mare. L’ultimo giorno di vacanza mentre guardi un cielo di cobalto, che non è il tuo, e sai che dovrai lasciarlo.
Ad Agosto è meglio schiantarla, tirare una riga e ripartire da zero. Guardare avanti o di lato. Altrove. Bisogna farlo prima di Settembre però, perché chi ad Agosto è scappato dai problemi a Settembre, chiusa la porta di casa per andare al lavoro, se li è ritrovati tutti in coda.

Ti avevo dimenticato come potevo, ma qualcosa continuava a darmi fastidio. Come quel taglietto che tormenti e non guarisce. Forse quella chiusura, senza scusarsi o accettare delle scuse, era il vero problema. Quando le storie finiscono si va via, ci si saluta, ci si manda a quel paese.
Si chiude perché si ama di traverso, non ci si ama affatto o si ama troppo se stessi. Non tutti hanno il fegato di prendere un mazzo di fiori, o l’unico cuore che si ha, andare da lui o lei e dire: sono qui, riprendimi indietro. Per questo sarebbe bello se, prima di andare via, ci si chiedesse scusa. Scusa se ti ho fatto perdere tempo, se non sono riuscito a dirti quello che volevo, se ti ho dato la parte peggiore di me, se ho rinunciato. Scusa per tutte le volte in cui ho detto che non avrebbe funzionato e per quelle in cui ti ho chiesto di andartene per paura che te ne andassi davvero. Per questa solitudine. Scusa perché ne avevo più bisogno di te, per le occasioni sprecate e per le volte che potevamo fare la differenza ma abbiamo deciso di essere scontenti come tutti gli altri.

Quando mi sono ferita il dito ho pensato a te, che continuavi a farti male. Chissà se hai mai imparato a disinfettarti.