Gasoline

Mi accoglie che addosso ha dei pantaloni grigi da casa e una T-Shirt, bianca, sotto cui risalta un reggiseno, nero.

Abbello!”
“Ciao, Beatrice!”

La bacio sulla guancia destra, mi tolgo il maglione, lo appendo in ingresso e la seguo in cucina, dove inizia a sparlare di alcuni nostri compagni di corso. Io non la ascolto, annuisco e mi concentro sull’odore di bollito che esce dalle due pentole, una il doppio dell’altra.

“Che si mangia?”
“Agnolotti e patate: ti piacciono?”

In risposta alzo gli occhi al soffitto, quasi stessi per svenire.

“Dai, cretino! Te piacciono o no? Sincero!”
“Non li ho ancora assaggiati, gli agnolotti.”
“O che bello: una prima volta?!”

Sorride con la malizia di una ragazzina di prima superiore, scola gli agnolotti e me li serve assieme ad una patata, al cartoccio.

“Ce ne vuole, prima di sbucciare una patata del genere!”

Commento, sarcastico. Beatrice inclina il capo, la montatura nera anni Trenta le scivola lungo il naso.

“Appunto! La buccia protegge, la patata.”

“Come mi disse un mio amico degli Stati Uniti: for me, food is gasoline.”

“Ma che stai a dì, Robbè? Ricordate che semo italiani!”

“Ma se ci sono più Pizza-Kebab qui a Torino, che carretti vendi Hot-Dog a New York?”

A Beatrice cadono le posate dalle mani: la forchetta tange gli agnolotti, il coltello s’incastra nella fessura del tubero a buccia gialla.

E allora vatte a mangnà ‘n Kebabb pe’ strada, così te ritrovi!”

Sarà che quella di ieri c’era stata al primo appuntamento, sarà che anche oggi ne voglio una identica a quella di ieri… Strofino il tovagliolo contro le labbra, stampo un saluto in fronte a Beatrice – che rimane immobile, seduta al suo posto – scendo sette piani di scale e, una volta in strada, è l’insegna “BAR” la mia stella cometa.

Entro nel locale, non c’è nessun cliente, solo tavoli sedie un jukebox e un bersaglio per le freccette. Dopotutto è sempre lunedì, penso mentre mi avvicino al bancone. Ordino una pinta di rossa ed inizio a parlare con il barista.

“Serata storta?”

Mi chiede.

“Questo è ancora tutto da vedere.”

“E che ci fai qui?”

Gli racconto della non cenna e accenno all’abbuffata della sera precedente.

“Aaah ti ho capito a te, sei come il Berlusca! Quella di ieri non ti ha soddisfatto, per caso?”

“Beh, insomma! Ti dico solo che lungo la colonna vertebrale ha tatuato un cobra.”

Gli strizzo l’occhio, ma lui risponde con un sinistro che mi butta a terra. Una decina di secondi dopo mi ritrovo faccia contro il pavimento, a cercare di respirare tra un calcio e l’altro.