Gentiluhomo Sapiens

L’Evoluzione, si sa, procede con determinazione verso il proprio (o la propria) fine. Ogni scalino che sale (o scende) ci ritroviamo un nuovo soggetto sul pianeta a fare ammuina il più freneticamente possibile in modo che l’Evoluzione non si accorga che l’imbranato non ci sa fare e decida di sostituirlo con uno più furbo. Ma l’Evoluzione se ne accorge sempre. Mica è stupida quella. E lo sostituisce con uno molto più in gamba a fare quello che deve fare. Poi con un’altro che se la cava un po’ meglio ma non abbastanza. Poi con uno ulteriore che qualche casino lo combina ancora. Neanche piccolo magari. Poi, finalmente, arriva lui: il modello più efficiente, complesso, tecnologicamente avanzato e non possiamo non dire “evoluto” che l’Evoluzione abbia mai progettato nei suoi laboratori. Lo si chiamerà Gentiluhomo sapiens. Gioiscono i tassonomisti. Raffinato design. Ergonomico e funzionale manufatto. Nulla da aggiungere. Ammiriamolo dunque in azione. Non prima di avere apprezzato un gaio intrattenimento musicale pertinente il caso.

La conversazione con i mastodonti erbivori non è appagante. La conversazione con i mastodonti carnivori è troppo breve per consentire una valutazione ponderata. Per questo il Gentiluhomo sapiens rimane a lungo in silenzio, al centro esatto delle terre emerse, per ora al livello del mare, guardandosi intorno alla ricerca di interlocutori. Individua alcuni ominidi apparentemente meno evoluti. Fatale intrattenercisi. Homo antecessor sembra ominide simpatico ma non dispone le posate in modo corretto sulla tovaglia. Alla larga. Homo cepranensis esibisce una visiera ossea non troppo sporgente ma il suo eloquio basato esclusivamente su grugniti impoverisce la conversazione. A Homo gautengensis non fa difetto una certa vivacità intellettuale. Peccato la esprima tentando di possedere compulsivamente da tergo l’interlocutore. L’opera pittorica di Homo heidelbergensis non risulterebbe stucchevole se non impiegasse quale pigmento i propri escrementi ineludibilmente monocromi. Come Homo ergaster possa addestrare i parassiti del proprio pube a ludi circensi permane misterioso. Di Homo floresiensis non urta la poligamia in sé. Opinabile piuttosto l’estensione a femmine di ovini. Per un po’ con Homo neanderthalensis va tutto bene, poi insiste per cementare l’amicizia mediante scarificazione tribale identica alla sua e la magia finisce. La sintassi di Homo rhodesiensis è a dir poco approssimativa. Il lessico di Homo rudolfensis esiguo.

Preso atto che alcun ominide saprà incarnare l’anelato interlocutore colto e sagace, il nostro evoluto protagonista si avvia verso la convessità più accentuata delle terre emerse. Chiamiamola montagna per capirci. Così si risolve a salire sulla montagna più alta tra quelle disponibili. Le terre emerse si corrugano infatti come la fronte di un pianeta perplesso. Tale non senza motivo. Gentiluhomo sapiens scruta in ogni direzione per individuare membri della propria specie. Lo ha già fatto prima, ma qui siamo più in alto. Se ne dovrebbe scorgere qualcuno. Non ne scorge alcuno. Realizza pertanto di essere il primo. Non può trattenersi dal piangere come piange chi è il primo della propria specie. Come piange chi è l’unico. Come piange chi è disperatamente solo al centro della desolata e brutale distesa delle terre emerse.

Il pianto interferisce con l’intelligibilità della seguente prolusione di Gentiluhomo Sapiens, della cui intelligibilità – occorre precisare – non frega niente a nessuno poiché non c’è nessuno ad ascoltare. Siamo tuttavia in grado di ricostruirla con buona approssimazione: “L’uomo è contemporaneo. Quando non è contemporaneo l’uomo è morto. Ci sono molti modi di essere contemporaneo. A ciascuno spetta individuare il proprio. Per quanto mi riguarda ho cercato di essere all’avanguardia e ho fallito. Quindi ho cercato di essere post-moderno e ho fallito. Allora ho cercato di essere moderno e ho fallito. Poi ho cercato di essere retrò ho fallito. Infine ho cercato di essere vintage e ho fallito. Ritenevo superflua ogni altra ipotesi progettuale quando ho compreso quale fosse l’unica possibilità residua. Sarei stato preistorico. Il mio modo di essere contemporaneo è dunque l’essere preistorico. Non rinunzierò tuttavia a nobiltà di modi e di sentire per immergermi arrendevole nell’animalesco abbruttimento che questo mondo inospitale propone. Interpreterò preistorico come elitariamente anacronistico. Sarò il primate più snob della preistoria. Sarò il dandy dell’era cenozoica. Senso di identità e autostima non potranno non trarne beneficio”.

(di Ludovico Polidattilo)