Ho sognato così fortemente

Ho sognato così fortemente di lanciarle addosso una manciata di terra che poi è morta davvero.

La vecchia era morta. Dodici anni di lamenti trattenuti, pregando di poter cominciare a vivere la mia, di vita, perché quella non lo era, no.

Ci conoscemmo da me, a Como, sedemmo alla stessa panchina del parco per caso. Dicesti che non eri del posto, approfittavi del bel tempo prima d’incontrare un cliente a pranzo. Parlammo a lungo e facesti ritardo, tu, così preciso. Il lunedì successivo ti ritrovai lì. E anche quello dopo. Da quelle assi di legno al divano di casa mia. Una volta la settimana, per dodici anni. Non è stato facile, vivere in funzione di ventiquattro ore. Ma mi piacevi, perché sorridevi timidamente a chiunque. Alla nostra età, avevamo bisogno di gentilezza.

Ho vissuto raggelata, come un cartone di latte a lunghissima conservazione lasciato sul ripiano credendo durerà oggi, e domani, e chissà quant’altro tempo.

Ci fu un momento in cui un collega, mica bello ma sempre educato, pure lui avanti con gli anni, lasciò trapelare più vivo interesse e meno cortesia. Si dichiarò, anche. Sorridendo ma con fermezza, come con un bimbo sulle nuvole, tentai di fargli comprendere la situazione. La gente non capiva, quando provavo a spiegare. Come con un bimbo sulle nuvole. Ma che ne so io, di figli.  E’ sempre stato tutto troppo tardi.

Non l’ho mai incontrata ma l’ho sempre odiata. Non potevamo vivere assieme per la sua salute, un cambiamento l’avrebbe destabilizzata, non volevi si sentisse un intralcio. Quindi ho aspettato, sognando alla notte d’andare al suo funerale. Non ero una brutta persona: volevo solo quel che avevano gli altri.

Poi è arrivato il mio momento. Gli anni di bolle di sapone, spesi a riflettere il mondo, erano sfumati. Avevo le vertigini. Potevo mandare le traduzioni per posta, così ho affittato le stanze a due signorine e sono andata a casa tua, nostra. Nelle sere miti sedevamo nel patio, organizzando gite sui colli che s’intravedevano oltre i tetti. Non eravamo mai stati in vacanza. Potevo prenotare ristoranti per due. Potevamo farlo, se volevamo, potevamo.

Ci si abitua così presto alla serenità.

E invece tu hai rovinato tutto. Ti sei ammalato, non hai saputo farne a meno. Andato in tre mesi. Mi hai lasciato, sola e straniera, in una valle di macchine. Ero l’equilibrista e hai spezzato la corda. Non è corretto, son stata brava e tu te ne sei andato, non è giusto, io son stata brava.

Adesso non so più che aspettare.

Conto solo le rughe.

di Giulia Piazzon