Uroboro

Ritorna la macchina a casa. Ti guardi guidare.

Senti la notte che punge, la senti chiamare.

Non vedi che nebbia e il violetta dell’auto si perde

democratico nel grigio impersonale: Chi sei? Chi sono?

Chi lo vuole sapere?

Sanno di fumo i vestiti che porti. Quello degli altri.

Ti vesti del fumo che fumano i tuoi amici.

          Sipp Sipp!! Le fibre assorbono il fumo

          Ma tu non fumi!

Sei al sicuro, ti senti protetto, dal loro fare ti senti stretto:

quel misterioso sentire, che appartenenza spesso diciamo.

Il fumo della nebbia si fa ora denso muro,

ma tu diventi liquido, atomico, particellare, lo attraversi

come niente fosse, ti fai fluire, ti guardi guidare; volare.

Corri! Corri a casa nella notte corri. Non dovevi tenerla.

Così nel giardino risplende l’aureo arco: pipì. E così

per l’aureo arco è risalita (come per il nero-petrolio

fa la fiamma) tutta la forza della natura,

sul suo naturale conduttore. Così riflette la curva

perfetta della volta oscura, così appare il miracolo:

nel lago dorato brillan le stelle, come in fondo al lago celeste.

L’armonia del continuo riflette.