Il soldato che non si arrendeva alla resa

Siamo in coda alla Seconda Guerra Mondiale, in una piccola ma strategica isola dell’arcipelago filippino.
Un soldato giapponese si appresta a compiere la sua quotidiana opera di sabotaggio nei confronti dell’odiata popolazione indigena. Il conto delle risaie fatte saltare l’ha perso da un pezzo, ma quello delle facce dei nemici uccisi no: 25 volti appartenuti a gente comune, abitanti dell’isola di Lubang che cercavano solamente di vivere le loro vite, dimenticandosi della Guerra che li circondava. Peccato che, puntuale come uno Shinkansen, ci pensasse l’agente speciale della Futamata Bunko, il tenente Hiroo Onoda, a ricordare loro come il mondo intero stesse ancora combattendo il più vasto e cruento conflitto della storia.
Combatte da solo, il soldato Onoda, i suoi compagni sono morti da tempo, ma continua a compiere il suo dovere, senza arrendersi. Il Nemico ha smesso di combatterlo con le armi e ha provato a costringerlo alla Resa con mezzucci simil-diplomatici ben architettati. Ha sparso biglietti che spiegavano come la Guerra fosse finita, ha perfino assoldato attori che imitassero la voce dei suoi familiari per provare ad avere l’atto estremo di sottomissione. Tutto falso, solo una persona ha ordinato ad Onoda di combattere e solo quella persona può dirgli di smettere di farlo: il suo diretto superiore, il maggiore Taniguchi; finchè non riceverà da lui l’ordine di fermarsi, Hiroo non smetterà di combattere.
Oggi, in particolare, l’aspetta la predisposizione di alcune cariche esplosive per sabotare il molo d’attracco appena costruito dal Nemico.
La sua determinazione è intatta anche dopo anni di trincea, ma nell’aria c’è qualcosa di strano quella mattina. Dal suo appostamento tattico alza il binocolo verso l’orizzonte e nota una bandiera: bianca con un sole rosso con sedici raggi. È Hinomaru, la bandiera della Marina Imperiale Giapponese. La sua bandiera.
L’istinto stavolta gli dice che non è un gioco degli Alleati. Studia i lineamenti di colui che regge il vessillo, sono tratti orientali, ma non filippini, è un giapponese che si sta avvicinando, in tenuta militare e con i gradi di ufficiale. Sente che questa volta può uscire allo scoperto e che il momento è arrivato. Davanti a lui si erge ormai il maggiore Taniguchi. Dalle sue labbra escono poche parole: “Tenente, la Guerra è conclusa, arrenditi”.
È il 20 febbraio 1974.
Dopo trent’anni, la personale Seconda Guerra Mondiale del soldato Onoda è giunta al termine.*

*liberamente ispirato da una storia vera.

di Daniele Mengato