Immigrata Invidia

I miei nonni erano originari degli alti confini macedoni. Arrivarono in Albania nel ’38 quando il fascismo aveva già urbanizzato Tirana intera con uno stile severo e la monarchia illirica era ormai al tramonto.
Sono nato conoscendo la grande dittatura comunista e così sono cresciuto. Abitavo a Fushë Krujë, polo di cooperative ed industrie di sperimentazione chimica.
La prima volta che dovetti votare mi rifiutai di dare il mio consenso passivo al Partito Comunista e la sanzione fu una sprangata sulla schiena che mi demolì così come mi distrussero i successivi quattro anni di leva militare.
Con il poco stipendio che raccimolai tra i campi statali, comprai prima una radio e poi una televisione ed illegalmente scoprii il mondo: non più solo i film sulle falsità del Partito, ma ecco il Carosello, le prime programmazioni della Mediaset, la musica leggera italiana e le stupende pubblicità fatte di famiglie felici. Esatto, famiglie felici: perché anche io ne volevo una, ma non a casa mia.
Ero lì da 24 lunghi anni ed ero stanco di non poter far niente.
E così iniziai ad invidiare. Invidiavo la politica di destra, sicuritaria e promotrice di democrazia ed invidiavo tutte le opportunità che i miei coetanei dall’altra parte della costa potevano avere. In quella dittatura l’ unica libertà che mi veniva concessa era quella di invidiare. Paradossale.
Se ero contro l’autoritarismo politico di estrema sinistra, se speravo nel meglio per il mio paese e se volevo andarmene da lì non era per sete di giustizia sociale (io nemmeno sapevo cosa fosse la giustizia) ma per la pura e delirante invidia di avere le stesse garanzie di quegli sconosciuti che stavano fuori dai miei confini.
1991: in piazza Skanderberg a Tirana gli studenti dell’ élite intellettuale distrussero la statua del dittatore Enver Hoxha.
Il totalitarismo era morto.
Arrivò il momento di andarsene e realizzare il sogno più grande: dar forma alle invidie.
Avevo madre, fratelli e fidanzata, al tempo una delle direttrici dei padiglioni della cooperativa ma una volta chiuse le industrie sociali si diede alla sartoria, chiedendomi poi di sposarla, promettendo di aspettarmi. Salutai tutti, mi incamminai verso Durrës e con i risparmi di una vita lasciavo il mio passato su di un gommone.
Da lì in poi sarei diventato solo che un immigrato diretto verso l’ Italia.
Ed è stata per questa incontrollabile invidia che ho garantito un futuro più che legittimo alla mia famiglia.
Non è forse onorabile?