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Ciao a tutti chiamatemi John. “Ciao John”. Fu così che venni accolto quel freddo giorno d’inverno al circolo delle vittime di superstizione “anonime”. Ci incontravamo tutti i mercoledì nello scantinato del bar di mio fratello; anche se il luogo di ritrovo non era dei migliori a noi non importava, volevamo guarire e in un modo o nell’altro dovevamo provarci. Ricordo ancora i volti dei frequentatori abituali. Uno aveva un colore di pelle molto rosso, si faceva chiamare Cino e diceva di provenire dalla Sicilia, affermava che i suoi avi fossero emigrati nei primi anni del Novecento per cercare fortuna nella bella America del Nord. A fianco a me stava seduto un tizio che avevamo soprannominato Lallo, molto spesso parlava della sua bravura nell’ippica e ricordava sovente le sue avventure giovanili quando era un campione indiscusso del campo. Ancora viva in me è l’immagine della faccia di Robert, il suo nome fittizio, osessionato dal verde e dai fiori verdi, indossava sempre una t-shirt sulla quale era stampata una foglia divisa in quattro parti, anch’essa di colore verde. I volti degli altri componenti li ricordo a malapena poiché molto spesso si riducevano ad ascoltare e non raccontavano molto, forse perché troppo timidi o addirittura traumatizzati. Quello che ci dicevamo e ci raccontavamo durante le sedute era indissolubilmente legato a ciò che ci accadeva nella vita reale. Alcuni raccontavano degli abusi che le persone arrecavano loro, per esempio quello di essere portati in qualsiasi posto a qualsiasi ora senza mai un attimo di tregua, altri si ponevano domande continue e non riuscivano a comprendere l’atteggiamento di coloro che necessitavano della loro presenza addirittura se dovevano incontrarsi con una sgualdrina o quando dovevano svolgere un rito propiziatorio contro la stitichezza. Ma la cosa che più ci infastidiva era che quelli non avevano capito nulla dalla vita, non avevano capito che il nostro compito non era quello di farli vincere alla lotteria o di farli risparmiare sul Viagra, la nostra missione era quella di poter donare sicurezze, poter star loro vicini o semplicemente portare loro consiglio. Noi siamo convinti di non attirare nessuna fortuna positiva o negativa che sia, ci siamo per far sì che quegli stupidi esseri umani capiscano che più pensano di realizzare i loro progetti attraverso il nostro ausilio meno li realizzeranno: saranno infatti talmente occupati a chiedersi perché la “magia” non avviene che non faranno nulla per ottenere ciò che vogliono. “Ma questo fenomeno, lo possiamo chiamare pigrizia?” chiese una volta Robert, ed io, sicuro di quello che stavo per rispondere, risposi “Sì amico, è pigrizia: vedi caro, se questi non hanno voglia di ricercare ciò che desiderano con le loro forze e chiedono il nostro aiuto vuol dire che non vogliono alzare il didietro dal loro fottuto divano, vuol dire che non vogliono togliere le mani unte di olio di patatine in busta dal loro sacchetto luccicante. Vuol dire che non hanno capito che non serve volere molto e che noi mai potremo dar loro ciò che sognano, ma potremmo attivare in loro una sveglia, una sveglia dal suono così forte da farli alzare da quel divano e farli iniziare a correre, iniziare a pensare a come arrivare a quella maledettissima meta”.

di Francesca Iorio Garcia