James Dean e le cocorite

Per anni ho deriso le cocorite. Le vedevo arzille e trionfanti beccare i semi, colte dall’entusiasmo del contadino novello che portava loro il cibo.
Si accalcavano, per trovare lo spazio necessario a fianco al compagno di voliera. Un colpo di becco per rimuovere la buccia, il secondo per mangiare il seme. E via di una raffica di uno-due degna del miglior maestro di scuola calcio. Nell’ingordigia del momento le bucce però cadevano sopra gli alti semi, e quando i pappagallini non riuscivano più a vedere cosa ci fosse sotto quello strato di scarti, non sapevano più che fare. E beffati, morivano di fame, con il cibo a distanza di becco. Benvenuti nel ventunesimo secolo, dove tutta la conoscenza è a disposizione immediata. Dove basta un click per sapere cos’ha postulato Einstein, un click per capire cosa significa “postulato” e rendersi conto che non è il termine adatto (Einstein ha dimostrato la sua teoria) e un click per sapere chi ha i capezzoli più turgidi ad Hollywood (chapeau Alyson Hannigan, anche se non hai vinto). Chi? Aspetta che controllo…
In un mondo nel quale vige la regola del tutto subito, dove la fatica e il sudore sono demoni da combattere, ci troveremo a fare a gara di frenate e non di velocità. Ci troveremo lanciati ad un ritmo folle verso un dirupo per renderci conto che nel tragitto ci siamo persi. In un’odierna rivisitazione del Chicken Game, ci troveremo a vestire i panni di James Dean, senza il suo fascino e senza la sua predisposizione per il dannato. Ci troveremo a glissare sull’importanza della memoria, perché “tanto è già salvato su hard disk”.
Ci troveremo a rinunciare ad imparare a svolgere un lavoro, perché ci sarà un app al posto nostro. E allora tutti a studiare l’equilibrio di Nash, perché l’importante è solo star vivi, anche a discapito dei nostri simili e fanculo la qualità della vita.

(di Christian Caldato)