Lamento di un Capitello Barocco

Voi distratti passanti, mendicanti e semplici bottegai, placate le frenetiche arterie del centro.
Abbandonate i negozi, arrestate le vetture sull’asfalto.
Volgete i vostri sguardi in direzione della piazza, tendete l’orecchio alle nostre voci.
Possibile che debba strapparmi i dorati ricci come fece il prode Achille alla morte del suo compagno prediletto per avere un briciolo della vostra ottusa attenzione?
Che saranno mai due o tre minuti strappati alle vostre vite insulse, così orrendamente mortali?
Noi, pregiati Eroti d’oro smaltato, vi racconteremo del nostro dolore, di coloro che per superbia e giustificata invidia ci hanno declassato ad infime decorazioni, a paffuti vezzi da salotto.
Da secoli siamo vittime di veri e propri sberleffi architettonici: sfruttati alla stregua di reggi ghirlande in altorilievi di tremendi sudari in marmo; svergognati nelle regie fontane, laddove le nostre floride nudità sono scempiate nell’osceno atto della minzione. Per non citare poi le miriadi di affreschi che abbondano delle nostre deliziose natiche in bella vista!
Ahimè, pure io e i miei fratelli non siamo stati sfiorati da sorte migliore, intrappolati nel bassorilievo di questo infimo capitello per opera di uno scalpellino idiota che ha osato ritrarci con le morbide schiene piegate e le paffute braccia tese a sorreggere una Venere di discutibile fattura. Proprio noi, fanciulli di eterna beltà e giovinezza, siamo costretti a sopportare il peso di questa insulsa bisbetica, sempre pronta a crogiolarsi nella sua vesta di pietra che, rimanga fra noi, la ingrassa pure.
Proprio noi che siamo Amorini, raffigurazioni materiche del divino Eros, custodi e padroni del più potente incantesimo che permea il mondo: l’amore.
In nome del tragico splendore di cui siamo indiscutibile vessillo terreno vi invito a condividere il nostro strazio. Versate le vostre misere lacrime sul fato immeritato che ha colpito esseri celesti di sì fatta natura; perseguitati e additati da coloro che null’altro pregio hanno ricevuto dall’esistenza se non la consapevolezza di essere individui tremendamente ordinari. Anche questa dea fasulla che ci sfianca le schiene non è certo da meno! Già pregusto il giorno in cui il restauro avrà luogo; sono certo che uno di quegli operatori incapaci confonderà le didascalie. Quante risate e lacrime verseremo quando quell’oca frivola si ritroverà al posto del suo stretto deretano da scopa le abbondanti terga di Giunone!