L’era di Opale

Alla fine successe. Gli uomini insorsero e lo fecero appena prima del grande buio, quando le ombre erano lunghe sull’asfalto, talmente lunghe che si strapparono dai piedi dei popoli e lasciarono per sempre il mondo dei mortali. Gli uomini entrarono allora nel casinò della vita, a giocare il blackjack di Dio. Attorniati dal denaro e da tutti coloro che, con esso, li avevano oppressi dovettero puntare i loro anni a venire e quelli dei loro figli per rimanere in partita, il rischio era alto. Fortuna che avevano imparato a contare le carte e vinsero, vinsero tutto. Così la mano pesante della storia si abbattè sui doppi petti e le camicie, stritolandoli in una morsa di sangue che annaffiò i semi dell’Era di Opale.

Ecco che gli abitanti di tutte le nazioni cacciarono i loro governanti, spodestandoli dai troni costruiti dalle genti per opprimere le genti. Come le ombre erano scomparse allontanandosi troppo da ciò che le aveva originate, anche gli uomini sarebbero scomparsi se non si fossero riconciliati con la loro natura embrionale. La terra su cui poggiavano i piedi era figlia della violenza delle collisioni stellari, l’evoluzione di cui erano per ora i vincitori non era altro che sterminio degli inetti: la violenza era la radice. Volsero quindi a propri rappresentanti quegli individui che, tra tutti, erano stati additati come i più violenti perché, come l’opale fa trasparire la luce, il nuovo corso di eventi che ne aveva preso il nome non doveva porre filtri all’umanità, lasciandola libera. Libera di godere della violenza, non la violenza animale, quella accesa dalla sopravvivenza; si parlava ora di un nuovo tipo di violenza, quella umana, fine a se stessa. D’altronde, dove li aveva portati la tanto sbandierata razionalità dei loro vecchi leader se non alla violenza? Se allora la violenza era frutto della razionalità, doveva assolutamente essere la via per una qualche verità empiricamente dimostrabile.

I popoli conobbero dunque la violenza della libertà, una libertà svincolata dai dogmi del passato prossimo e dimenticata da tempo, ne ebbero paura. Non conoscevano la sostanza, la provarono ma fu overdose e l’overdose portò al caos. E c’era tutto questo caos che pervadeva la materia, un caos che col suo frastuono ti impedisce di essere, ubriacandoti di informazioni inutili con l’unico scopo di confonderti . L’unico modo per sfuggire al caos era rimasto immergersi nelle ore di tramonto, perché nel caldo abbraccio giallo e magenta non c’è violenza, se non nella consapevolezza di un giorno che muore affogato in un oceano di lacrime, le quali battezzano il fantasma di un domani che, fenice, perpetua imparziale e violento il cerchio del tempo.

di Andrea Tombolato