Mai più

Gli sembravano molte più del solito le stelle. Non gli era capitato così spesso di ritrovarsi in quel buio così intenso da dare l’impressione di aver inghiottito tutto lo spazio circostante. Non sapeva dove fosse, tanto meno come ci fosse finito. Vedeva alcune luci ad una distanza che non era sicuro di poter stimare.
Non ci fosse stato quel fumo grigiastro dall’odore acre, si sarebbe potuto pensare ad una serata veramente piacevole. Quelle serate estive dove per combattere la calura è sufficiente aprire il finestrino e lasciare che l’aria ti accarezzi il viso e sposti un po’ i capelli. Sere in cui, tirando fuori la lingua, l’umido dell’aria sembra ti aiuti a calmare la sete.
Aveva pensato a quanto sarebbe stato bello sentirne il sapore, invece della ferrosa sensazione di sangue che gli stava invadendo la bocca.
Già, la bocca.
Era una sera d’estate simile a quella quando la sua lingua confusa dal gin tonic aveva incrociato la sua. Gli era parsa la sensazione più simile al celestiale che avesse mai provato. Si era ripromesso che non ne avrebbe fatto più a meno.
Risentiva il brivido di quel primo piacevole scontro e gli sembrava paradossale in un momento confuso come quello.
Gli piaceva. Valeva la pena sforzarsi nel ricordarne ulteriori dettagli, seppur distratto e confuso dai momenti di vita mescolati che sembravano ripresentarsi ai suoi occhi.
Tornando a piedi verso casa era stato assalito dai dubbi, mescolati al calore sudaticcio delle sensazioni: di che colore erano i suoi occhi? Certamente accentuati da un sottile filo di eyeliner che rimarcava un velo di furbizia neanche troppo nascosta. Il colore non gli era parso importante.
Erano castani o rossi i suoi capelli? Non ne era certo ma stringendo forte le mani gli sembrava di riprovare la soffice sensazione di delicatezza che puoi provare solo la prima volta che tocchi i capelli ad una persona.
Era stata lei ad avvicinarsi per prima? Il suo ego gli stava facendo immaginare qualcosa che non era mai successo forse, ma gli pareva curioso di non essersi accorto prima di lei. Era sempre stata lì.
La voce sensuale e flemmatica, mescolata con quell’accento neanche troppo marcato, l’avrebbe scoperta dopo ed era una delle cose che più amava di lei.
Stava passando “There a light that never goes out” degli Smiths altrimenti lui non avrebbe sicuramente cercato di fingere di ballare e niente avrebbe avuto inizio. Il suono gracchiante lo aveva svegliato da quel tuffo nei ricordi.
La canzone arrivava dalla radio ancora accesa nella sua auto accartocciata.
Aveva avuto bisogno di sentirla. Aveva cercato il modo più veloce di farlo, senza sentire l’urgenza di fermarsi. Gli sarebbe bastato sentirla per decidere di tornare indietro, in quella casa da cui era uscito sbattendo forte la porta.
Aveva gridato “mai più” prima di uscire. Non era vero. Avrebbe scelto parole diverse se avesse saputo che era l’ultima volta che si sarebbe parlati.