Mani di fata

La chiamavano Mani di Fata, ma nessuno era mai riuscito a scoprire quale fosse il suo segreto. Viveva in un vecchio tronco di quercia, rattoppato di foglie e di piume, in quel bosco di laggiù, dove le cime degli alberi solleticano il cielo e gli animali parlano ai fiori e i fiori agli animali. Sopra il tetto, uno strato d’erba sottile, alla finestra, deliziose lanterne di lucciola: si accendevano al calare del buio, fedeli compagne di gufi e civette, facendo a gara per chi brillasse di più, con Venere basso all’orizzonte, che di una stella era soltanto un’illusione.

Ogni giorno, a metà pomeriggio, Mani di Fata dava inizio al suo rito prodigioso, un rito dolce e buono: dalle fessure del suo tronco si ergeva un vortice profumato di spezie, cioccolato, zenzero e cannella; l’aroma di caffè a mischiarsi con l’odore del muschio bagnato, l’aria a colorarsi di mille sapori. Mandarini, noci, nocciole e biscotti, sembravano fondersi in un’unica nuvola, friabile, come appena sfornata, forse turchese o forse rosa: piovevano gocciole di Primavera.

Mani di Fata cucinava, cucinava prelibatezze per tutto il bosco e le sue creature. Costruiva sgabelli con radici di liquirizia, imbandiva tavoli di fiocchi, pigne e pinoli. Su un ramo, esponeva un’ampia scelta tra infusi di coccole, camomille del buonumore e tisane scalda-cuore. C’erano davvero bustine di tè per tutti i gusti. I sorbetti di bacche erano poi serviti nei gusci vuoti di chiocciole e lumache, mentre da una fontana di ciottoli zampillava il liquore della felicità. Ne si riempivano i bicchieri, stando attenti, però, a non ubriacarsi di troppi sorrisi. Ogni giorno, a metà pomeriggio, il tronco di quercia di Mani di Fata si trasformava così in una vera e propria mensa, una mensa per animaletti, gnomi e farfalle, fatta di sogni di zucchero e desideri tostati. Avremmo potuto cibarci d’etere caramellato per alimentare all’infinito le nostre fantasie.

Ma Mani di Fata come ci riusciva? Come faceva ogni giorno, a metà pomeriggio, a rimettere in scena quella magica mensa? Le bastavano davvero solo qualche ingrediente di qualche ricetta speciale? No, Mani di Fata non seguiva ricettari, non utilizzava ingredienti, né coltelli o frullatori, perché Mani di Fata non era una donna, tantomeno una fata. Non era neppure una dea, una strega o un’indovina. Mani di Fata era un bel paio di guanti, lisci, caldi e delicati. Guanti con un respiro, danzanti, che ballavano la musica delle nostre emozioni. Guanti con un segreto, invisibili, che contenevano tutto l’occorrente per fare di quel bosco il migliore dei mondi possibili.

(di Cecilia Cestari)