Marzia/Teresa

Marzia

Drin drin driiin. Quel trillo, sempre lo stesso, era solito dare la sveglia a Marzia, che non sempre era felice di risvegliarsi in quella stanza così povera, così fredda, su un letto talmente duro, logoro e puzzolente. Sperava di godere ancora in dieci minuti di dormiveglia, ma no, il chiavistello della porta che bloccava la cella macchinò e fece scattare la serratura, che si aprì, e fece entrare la giovane suora-infermiera, un po’ insicura nonostante gli anni di servizio.
Era la prima volta che si presentava e approfittando dell’occasione, Marzia, ancora leggermente insonnolita e a piedi scalzi prese a correre per tutto il corridoio, tra gli altri pazienti incuriositi, ma nemmeno il tempo di raggiungere l’atrio che le guardie vestite pure loro da infermieri per incutere meno timore, la fermarono a suon di bastonate sulla schiena, facendola chinare sulle ginocchia, piangente. La presero sotto le braccia, si fece peso morto solo per il piacere di fare loro un dispetto. La trascinarono fino allo studio della madre superiora che appena la vide alzò gli occhi al cielo e sospirò “Marzia Marzia… che devo con te?”, al che lei sorrise e fu riportata all’oratorio per una misera colazione accompagnata dalle pillole della terapia.
Dopodichè la mattinata si svolse nella produzione del pane che sarebbe stato utile per il resto della settimana.
Ora di pranzo. Presentarono a Marzia un vassoio di pietanze dall’aspetto indefinito ma lei lo respinse dapprima con pacatezza, poi con sgarbatezza, infine si arrese e rassegnata prese il vassoio tra le mani; la cuoca soddisfatta di voltò per prendere il pasto del paziente successivo, e Marzia colse il momento: spalancò le mani e lasciò cadere l’intero pasto per terra; cinque secondi di silenzio e sguardi spaventati, subito dopo ci fu un fragore di risate proveniente da ogni singola ugola presente nella mensa.
Fu messa in punizione per questo: niente pranzo per Marzia, pomeriggio col viso rivolto verso lo spigolo della sala principale fino all’ora di cena a cui non rinunciò, un po’ per paura e un po’ per la fame accumulata.
Marzia fu accompagnata alla sua cella, si va a letto una volta finita la cena. Distesa sul letto ora pensa, pensa alla sua giornata, pensa a Teresa. Ma Marzia non conosce Teresa, sono solo due esistenze che condividono lo stesso corpo.

(di Gianmaria Zambon)

Teresa

Drin drin driiin. Quel trillo, sempre lo stesso, era solito dare la sveglia a Teresa, che non sempre era felice di risvegliarsi in quella stanza così esigua, così umida, su un letto talmente acerbo, sciupato e fatiscente. Sperava di godere ancora in cinque minuti di dormiveglia, ma no, il chiavistello della porta che serrava la cella macchinò e fece scattare la serratura, che si aprì, e introdusse la giovane suora-infermiera, un po’ impacciata nonostante gli anni di servizio.
Era la prima volta che si presentava e approfittando dell’occasione, Teresa, oramai non più insonnolita e a piedi scalzi prese a correre per tutto il corridoio, tra gli altri pazienti disinteressati, ma nemmeno il tempo di raggiungere l’atrio che i custodi vestiti pure loro da infermieri per incutere meno timore, la bloccarono a suon di manganellate sulla schiena, facendola chinare sulle ginocchia tremanti. La presero per le ascelle, si fece peso morto per il solo gusto di fare loro un dispetto. La trascinarono fino allo studio della madre superiora che appena la vide le puntò lo sguardo addosso e sospirò “Teresa Teresa… che devo con te?”, se ne fece beffa così fu riportata all’oratorio per una misera colazione accompagnata dalle pillole della terapia.
Dopodichè la mattinata si svolse nella preparazione del pane che sarebbe stato utile per il resto della settimana.
Ora di pranzo. Presentarono a Teresa un vassoio di pietanze dall’odore nebuloso e sfuggente che respinse dapprima con pacatezza, poi con irritazione, infine si arrese e rassegnata prese il vassoio tra pollici ed indici; la cuoca soddisfatta di voltò per prendere la porzione del paziente successivo, e Teresa colse il momento: spalancò le dita e lasciò cadere l’intero pasto per terra; tre secondi di silenzio e sguardi di terrore, subito dopo ci fu un fragore di risate proveniente da ogni singolo petto presente nella mensa.
Fu messa in punizione: pulire l’intera sala pranzo, e poi il pomeriggio col viso rivolto verso lo spigolo della sala principale fino all’ora di cena a cui non rinunciò, un po’ per timore e un po’ per la fame accumulata.
Teresa fu accompagnata alla sua cella, si va a letto una volta finita la cena. Distesa sul letto ora pensa, pensa alla sua giornata, pensa a Marzia. Ma Teresa non conosce Marzia, sono solo due esistenze che condividono lo stesso corpo.

(di Gianmaria Zambon)