Michele Sindona

Michele Sindona di caffè ne aveva bevuti tanti, consuetudine comune quando si va ospite di questo o quel salotto. Consuetudine consolidata da quando un genovese ha avuto la brillante idea di farsi prestare dobloni e navi per scoprire cosa c’era un po’ più in la e tornarsene indietro con pomodoro, mais, cacao, oro, sangue e caffè. Talmente tanti da addormentarsi appena dopo averne bevuto uno.
Spesso arrivava una telefonata, anche a tarda notte, nel suo ufficio – domani caffè a casa mia – e in quella casa ci andava, puntuale e riverito. Spesso beveva caffè in qualche bar seduto sui tavolini all’aperto, quelli che puzzavano di sigarette e stampante del totocalcio e mentre posava il braccio tra le Pasticche Leone e la pubblicità della tonica Recoaro, portandosi la mano al taschino per cercare il fermasoldi, qualcuno lo fermava e pagava per lui, sempre se il caffè non venisse offerto dal cassiere stesso. Questione di luoghi e fisiognomica , a volte una scienza perfetta.
Michele Sindona aveva sempre bevuto caffè in compagnia, mai da solo, aveva tanti amici quanti i caffè bevuti, più ne beveva più aumentavano, in quei lunghi pomeriggi italiani. Caldi e fermi. Tra un caffè e l’altro ascoltava molte storie che metteva in fila come se fossero dei numeri, poi le storie diventavano denaro, messo in fila come fosse denaro.
Terribilmente lunghi quei pomeriggi, si cercava sempre qualche storia da raccontare tra un caffè e l’altro, c’era chi cercava di proteggere un proprio interesse, chi cercava di fottere qualcun altro ed infine chi cercava di fottere chi cercava di proteggere chi fotte e viceversa. Sempre facce diverse ma mai sconosciute, amici di parenti di amici di compagni di cognati, famiglie, Le Famiglie, Partiti. Molte di quelle facce si vedevano alla Rai o sui giornali, ma altre no, non si sapeva da dove venissero, ma si sapeva benissimo di chi fossero, non certamente per lo spiccato accento siciliano o per i modi spicci, non erano quei quattro rozzi briganti che volevano far passare come immagine all’epoca. C’era gente che diceva di fare il muratore senza aver mai visto malta e mattoni, quelli di soldi ne contavano e ne facevano contare in quei caldi pomeriggi in cui ti scende la pressione e c’è profumo di nulla, il profumo della polvere che si scalda. Non restò altro che prendere un caffè per tirarsi un po’ su, per fuggire da quelli che, il caffè, fino a qualche anno prima, te l’offrivano, anche quando ormai è troppo tardi, anche quando lo devi prendere con il secondino che ti fa’ compagnia ammirato, anche quando ti addormenti poco dopo averlo bevuto, per non svegliarti più, Michele.

 di Riccardo Alessandro Didoné