Motonave Onda Azzurra

Sul muro del bagno dell’equipaggio c’era un calendario con le donne nude. Era davvero molto volgare. Tutte le ragazze erano completamente depilate. Spalancavano le gambe e la bocca come circensi o maschere greche. I volti lucidi incorniciati da permanenti fuori dal tempo. Gennaio, marzo, novembre: conoscevo le loro fiche a memoria, perché era quel calendario, appeso al muro, ciò che fissavo mentre un marinaio poco più che maggiorenne mi scopava in piedi, da dietro, e mi diceva cose che non riuscivo a sentire a causa del fracasso del motore vecchio trent’anni.
Lo facevamo ogni giorno, tranne quando avevo le mestruazioni e tranne quando c’era mare mosso. Sotto libeccio i battelli dell’azienda di trasporto pubblico non potevano navigare, altrimenti i passeggeri avrebbero vomitato la colazione, o l’aperitivo. I passeggeri erano quasi tutti impiegati di enti pubblici, bancari, insegnanti.
Uomini e donne in completi blu e tailleur al ginocchio, leggevano libri, leggevano quotidiani progressisti, leggevano le e-mail sul telefono, leggevano i nomi delle portacontainer attraccate nel canale di calma: Jolly Rosso, Prinzip Real, San Giuseppe, Yang Ming. Grazie al fracasso dei motori solo in pochi riuscivano a discernere i rumori del sesso che avveniva a pochi metri da loro, oltre una porta di compensato, ventisette minuti a tratta. Chi mi voleva bene la definiva una storia piuttosto squallida.
«Il copione di una commedia italiana di serie B», diceva qualcuno. Non sarei potuta venire su diversamente.
A sei anni mi ero fatta toccare il culo da un ragazzino colombiano in cambio di una confezione di Tic Tac.
A otto anni restavo incantata per ore a guardare su Telecity le pubblicità dell’144. A dieci avevo scoperto il nascondiglio dove quelli di seconda media mettevano le riviste porno. Anche quelle erano davvero molto volgari. Il biglietto del battello costava un euro e cinquanta (io non pagavo quasi mai).
Dopo, ci piaceva uscire sul ponte, soprattutto d’inverno, a fumare in silenzio sigarette di contrabbando per toglierci dal naso l’odore di nafta e di sentina.

(di Giulia Mietta)