Movie Pill

Per superare i propri orizzonti non è necessario scalare l’Himalaya, strafarsi di allucinogeni o convertirsi al Buddismo: alcune volte basta un film. 
Ribellatevi ai clichè culturali. Rifiutate il mangime delle major. Aprite gli occhi: il cinema non è solo Hollywood e la Movie pill di questo numero ve lo dimostrerà!

Mood viaggio modalità: on. Premete play e alzate il volume: si parte con Into the wild (2007). Quarto film da regista di Sean Penn, di cui consiglio anche Lupo Solitario (1991) ispirato a Highway Patrolman, celebre successo di Bruce Springsteen, è quello che ci vuole per iniziare la Movie Pill Orizzonti con lo spirito giusto. 
La sua stupenda colonna sonora, vincitrice ai Goglden Globe del 2007, ci accompagnerà in questo viaggio intorno al mondo, oltre i confini conosciuti del cinema mainstream. 
E allora:



“Leave it to me as I find a way to be 
consider me a satelite for ever orbiting 
I knew all the rules but the rules did not know me 
guaranteed…”



Prima tappa: Brasile. Ciudade de Deus, una delle più pericolose favelas di Rio de Janerio, dove il brasiliano Fernando Mirelles dirige il toccante City of God (2002). 
Un film commovente e delicato, che con semplici ed incisive pennellate riesce a dipingere lo squallido affresco in cui i due protagonisti, Buscapè che sogna di fare il fotografo e il suo amico Dadinho che invece vorrebbe diventare il più temuto criminale della città, si muovono e vivono una quotidianità di degrado e narcotraffico.

Spostiamoci verso est per conoscere Kim Ki-Duc, massimo esponente della New Wave coreana. Autore di bestseller come: Primavera, estate, autunno, inverno… e ancora primavera (2003), Ferro 3 (2004) e il recente Pietà, Leone d’oro 2012, Kim Ki-Duc s’inserisce a pieno titolo nelle avanguardie cinematografiche contemporanee. 
I suoi film al tempo spesso delicati e spietati, incarnano perfettamente la purezza estetica e il senso sacrificale insito nelle culture orientali. Inizialmente difficili da digerire, soprattutto senza una dovuta preparazione atletica al cinema orientale, le sue pellicole vi stupiranno e non potrete non adorare un cineasta che riesce a tradurre sullo schermo la potenza universale dei sentimenti.

Avviciniamoci all’Italia ma senza attraversare l’Adriatico. Invertiamo i flussi migratori e dirigiamoci lì, da dove in tanti fuggono. Siamo a Sarajevo, Bosnia-Erzegovina, un paese dilaniato dalla guerra civile che lentamente comincia a metabolizzare il proprio passato. In questo difficile processo di redenzione anche il cinema può fare la sua parte. 
I film del bosniaco Danis Tanovic come No man’s land (Premio per la migliore sceneggiatura al 54° Festival di Cannes), Cirkus Columbia (2010) e il recente An Episode in the Life of an Iron Picker (Orso d’argento quest’anno a Berlino) infatti, riescono a rievocare tramite le immagini, quello che ancora oggi viene taciuto. Capace di una profonda sensibilità e di uno spiccato senso poetico, Tanovic riesce nelle sue opere a raccontare l’orrore e l’insensatezza, ma anche i sottili meccanismi che hanno provocato una scia infinita di morti e di terrore, riaprendo vecchie ferite ma aiutando anche la loro definitiva guarigione.
http://www.youtube.com/watch?v=81XfJLdDWsE
P.S. non allarmatevi il film è facilmente reperibile doppiato in italiano

Torniamo oltre oceano e concludiamo con del trash made in Canada: Spring Breakers di Harmonie Korine, già osannato dagli hipster di tutto il mondo per il suo controverso Gummo (1997). Regista irriverente e fuori di testa Korine infarcisce la sua pellicola di tette, culi, armi, cocainomani e denti d’oro portando sul grande schermo un’America malata dove adolescenti senza inibizioni, frustrati e annoiati dalla propria quotidianità, si trasformano in criminali senza scrupoli. Un carosello iperteso di scene a bollino rosso che in realtà veicolano una profonda critica a una società a stelle e strisce superficiale e alienata. 
Istruzioni per l’uso: togliete la pellicola di protezione godetevi lo sballo ma poi pensate e ripensate a quello che avete visto.

Vi sarete sicuramente accorti che mancano all’appello cinematografie in via di sviluppo come quella africana e quella indiana, molto peculiari e più difficili da inquadrare e comprendere appieno. Certo nulla è impossibile, ma avvicinarsi a Bollywood, o al cinema africano, è un’operazione che richiede tempo, impegno e soprattutto la consapevolezza di trovarsi di fronte a prodotti audiovisivi profondamente diversi da quella che è la sensibilità e la concezione di cinema a cui siamo stati abituati.

di Micol Lorenzato