Pulp caffè

Insomma, mi trovavo in un caffè di Venezia. E nel bel mezzo della sala trovai Quentin Tarantino.
Era seduto in un tavolino da solo a bersi il suo caffè da 5 euro in santa pace, non potevo disturbarlo, ma lo feci.
Insomma, lo salutai e mi sedetti prepotentemente. Ero conciato male, avevo appena fatto a botte. Lui lo capì, perché lui sente subito l’odore di violenza nell’aria.
Insomma, saltando i preliminari mi ritrovai a parlare del caffè con Quentin Tarantino.
Mi disse: “Il caffè è una cosa buonissima, soprattutto in Europa, soprattutto in Italia. Cioè riesci a immaginarti l’America? Con quegli orribili caffè? Con quelle orribili cameriere? Lì la mancia è uno status symbol, qui lo è il caffè.
In America vai al bar, ti siedi, aspetti la cameriera, bevi il tuo caffè annacquato, aspetti che te ne versi un’altra tazza, aspetti che ti porti qualcosa da mangiare, una fetta di torta, una crostata di mirtilli. Aspetti. E tutto questo lo fai per? Lo si fa solo per dare la mancia alla cameriera. E’ così da una vita in America.
In Italia, è solo il caffè il padrone della scena.
La cameriera si schifa se vede la mancia, ti chiede se l’hai presa per una puttana. Qui nessuno ti rompe le palle. Stai seduto e ti bevi il tuo caffè. Ti leggi il giornale. Ti fumi una sigaretta. Fai una pausa e rifletti.
E’ un momento di riflessione, un momento in cui puoi star da solo con i tuoi pensieri. E fattore importante: annusi l’aroma.’’
Il monologo di Tarantino continuava. Non si fermava (e per fortuna che ero io il rompi palle).
“Sai quante volte in America mi sveglio e desidero con tutto me stesso un caffè italiano? Per questo da ora in poi farò solo film in Italia.’’
Lo bloccai subito dicendo: “Senti… Toglimi una curiosità: cosa c’era dentro la valigetta di Pulp Fiction?’’
Lui rimaneva sul vago, non voleva assolutamente dirmi che c’era in quella valigetta. Era tutto inutile. Non voleva dirmelo, e più mi sforzavo di domandargli e più la risposta si allontanava.
Estrassi la pistola e gliela puntai da sotto il tavolo: “La senti questa? Non è una fottutissima Colt, nemmeno una Smith and Wesson. E’ una fottutissima e italianissima Beretta. E se non vuoi un fottutissimo e italianissimo buco che va dalla testa e che ti esce dal culo, ti conviene dirmi che cazzo c’era in quella fottutissima e americanissima valigetta.’’
Stava per dirmelo cazzo! Era lì che si cacava in mano, e stava per dirmi tutto. Per filo e per segno.
Poi un fottutissimo ladro di taccuini si alza in piedi con una micro pistola del cazzo e urla: “Fermi tutti, questa è una rapina!’’
Si avvicinò a noi, e ci guardò: “Fuori il portafogli o vi faccio un buco in testa!’’
Quel pappamolla tremava mentre puntava la pistola in testa al regista, vibrava come solo un vibratore anale cinese sa fare.
BANG!
La testolina di Quentin aveva un bel buco in fronte, le cervella erano sul muro; e io ero incazzato nero. Una furia! Tolsi la pistola da sotto il tavolo e gli urlai: “Pezzo di merda non hai idea da quanti anni volevo sapere cosa c’era dentro quella valigetta. CREPA!’’
Gli feci un buco nel cuore. Fanculo.
Mi risedetti e finii di bermi il caffè.
“Che cazzo di bontà anche dopo aver ucciso una persona!’’.

di Leonardo Bano