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Arriviamo al rifugio accolti dal profumo del pollo con cereali che il cuoco nepalese sta cucinando. Questa notte nessuno dormirà; questa notte si parte per la vetta del Monte Bianco. Non è un’impresa alpinistica in se stessa, ma lo è per ciascuno di noi. È una sfida con noi stessi, con i nostri limiti di persone normali. È il sogno di vivere un’esperienza forte. Ci alziamo all’una e partiamo nella notte con un vento fortissimo che suona come un organo fra i seracchi del ghiacciaio e fa danzare le preghiere buddiste colorate, agganciate sotto la bandiera italiana.

I led sul casco illuminano solo lo spazio di un passo, e ogni roccia appare come una sorpresa dal buio. Ci siamo allenati in quota per una settimana, e abbiamo pianificato tutto, ma ciascuno di noi nel silenzio sta pensando che qualcosa è sicuramente sfuggito, che lo zaino è troppo pesante, o che le barrette che mangeremo fanno schifo. Saliamo in verticale per alcune ore, poi inizia il ghiacciaio e le guide formano le cordate: la scelta è difficile, perché si parte insieme e si arriva insieme, oppure tutta la cordata deve rinunciare al minimo problema. La fatica si fa sentire e l’aria diventa sottile. Verso le quattro iniziano a spegnersi le stelle, e una luce con lentezza cresce e ci avvolge. L’orizzonte da nero, diventa blu; da blu diventa arancione: gradienti di colori indescrivibili che non esistono in nessuna cartella RAL o Pantone. La luce rivela che siamo immersi in una distesa di ghiaccio e neve sconfinata, in cui non si vede una via definita, ma solo alcuni puntini uniti da corde sottili che procedono, come un gigantesco gioco di enigmistica da risolvere. Ogni gesto va misurato, ogni passo si fa pesantissimo.

Dopo i 4500 metri, ogni minuto mi devo fermare qualche secondo per recuperare e ricordare a me stesso che in fondo, sono nato sul mare. Stiamo risalendo con i ramponi sullo spigolo di un enorme e dolce cuneo di ghiaccio e neve: ogni movimento ora è solo un puro sforzo mentale; non penso più ai singoli passi, ma solo al desiderio di arrivare. Come un miracolo, l’idea di essere così vicino genera energie nascoste che il corpo non sapeva di avere.

Arriviamo in vetta alle 8:24. Ci abbracciamo e ci guardiamo intorno: tutto è sotto di noi. L’orizzonte rivela la curvatura terrestre, le nuvole sono un mare bianco e le cime sono isole.

Più tardi scendendo, la tensione si scioglie, l’aria si fa più ricca di ossigeno, e piango. Mi rendo conto di cosa abbiamo veramente conquistato: ci siamo allontanati da tutto per avvicinarci a noi stessi.

MonteBiancoHD

 

di Marco Traverso