Riavvolgersi

Nuove infantili fantasie come qualcosa di appassito trovato casualmente cercando con la mano sul fondo del frigorifero. Facciamo tutti uno sporco gioco ma mi ritengo più esperta. Trovarmi di nuovo a dovermi calibrare non mi invoglia a scoprirmi e di nuovo trovo i letti troppo stretti e i respiri troppo pesanti per riuscire a celare il malcontento. Credo che lascerò andare anche questo, senza il grande dramma che lo stupore della prima volta comporta, ma con la freddezza che pare appartenere a chi davvero ha toccato la follia e nuovamente la teme e ha imparato a credere nella sopravvivenza più che nel sacrificio. È ora di abbandonare sentimentalismi già sperimentati e precedentemente falliti, per quanto sia tanta la morbidezza e ancora di più il caldo al bassoventre nell’addormentarsi con qualcuno non eguaglieranno mai le intime soddisfazioni dell’essere soli. E quando la vera me tornerà non ci sarai a guardarmi, nemmeno dalla serratura. Mi basterà lo specchio stavolta per capirmi, mi basteranno pavimenti freddi e le ginocchia da stringere come tante altre volte ma senza rabbia, senza dover affondare di nuovo i denti nell’ennesima vittima di me. Tieni per te recriminazioni e reiterazione e rancori e tutte le cose orribili che sono troppo stanca per ascoltare e che iniziano con r. Inizio a soffocare e infastidire mio malgrado, stavolta giuro Vostro Onore, nessuna delle mie meschine intenzioni, nessuna. Torno ai miei silenzi, alle mie lunghe e sole fughe nel sonno pomeridiano, pensante e senza sogni allontano il reale per svegliarmi me stessa dentro.
Sono così innamorata di me, ho così pena di me.
Ho perso l’equilibrio stamattina nell’alzarmi troppo tardi. Scopro che forse non posso ancora permettermi il prezzo dell’onestà totale. Devo ripiegare su un’imitazione scadente e fingere che sia qualcosa che mi si addice. Ho pregato giornalmente per una giornata di sole dopo il milione di gocce fredde cadute nelle ultime settimane usate come scusa per non alzarmi dal letto, e ora il pensiero di aprire le finestre appare semplicemente disgustoso. Cose troppo forti investono i miei occhi stanchi. Così stanchi. Li ricopro di brandelli di memoria sapientemente cuciti in cui riavvolgermi, piccoli pezzi consumati di mattine pigre spese orizzontalmente. E l’anziano che fissa storcendo la bocca la silhouette perfetta del culo di modella cartonato esposto alla vetrina di una farmacia, e il mio sentirmi scomposta, e la mia incapacità di occupare lo spazio.

(di Giorgia Papagno)