Senza fretta

Il caffè è metafora: quando è amaro può ricordarti l’asprezza di un giorno da affrontare con il coraggio della rassegnazione, o la semplicità di quei gesti che sanno di abitudine, quasi di un rito. Lo bevi con la consapevolezza che la vita è dura, ma con la speranza di non ritrovarti mai in bocca il sapore della resa. Lo zucchero, come il latte, è contaminazione: per i conservatori della caffeina è una minaccia, per i progressisti è rinnovamento. Per chi, subito dopo la sveglia, non è in grado di intendere e volere (“solo gli stupidi sono brillanti la mattina presto a colazione”, diceva Oscar Wilde) la poesia lascia il tempo che trova: il primo caffè consumato tra le mura domestiche è soltanto caffè (what else?) ed è già motivo di vanto essere riusciti a mettere la moka sul fornello, possibilmente dopo avervi inserito l’acqua all’interno; in caso contrario è tristissima tradizione attendere minuti su minuti, stupirsi, insospettirsi e gradualmente recuperare le facoltà mentali, giusto in tempo per evitare la fusione nucleare. Il caffè corretto, invece, è roba da sovversivi, oppure autentico spirito di sopravvivenza quando la neve ricopre la tua nuova città e sei nato in una terra in cui l’inverno, semplicemente, non esiste. Ma se dietro il bancone di un bar ordini un caffè con grappa a giugno, vuol dire che sei un alcolista, un cretino, o qualcuno che ha perso una scommessa calcistica con un amico: e quest’ultima motivazione, ovviamente, non esclude a priori che tu sia davvero un alcolista e soprattutto un cretino. Il caffè, a qualsiasi ora, è oasi in mezzo al deserto della frenesia, sollievo per gli stakanovisti: per gli sfaticati cronici, al contrario, è soltanto una breve pausa collocata tra altre pause interminabili. Il caffè lungo è desiderio, erotismo, orgasmo della tazzina; quello stretto è overdose immediata, elogio della compattezza: un pacchetto di mischia rugbystica che travolge l’avversario – la sonnolenza – nella stessa maniera in cui un tir ti viene incontro con intenzioni opposte rispetto a quelle di un chirurgo plastico. Il caffè è popolare: non è bevanda per smidollati anglofili che necessitano di un orario – le cinque del pomeriggio – per sorseggiare il loro fottutissimo thè. Il caffè che sfocia nella sigaretta, infine, è solo un modo per fumare altra caffeina, o bere nicotina e veleno. Questo caffè – il primo che bevo di nuovo da disoccupato – è l’unica cosa che lascia assomigliare questa giornata alle altre. Questo caffè bevuto stamattina senza fretta ha il gusto di una maledizione: e non basta aggiungere lo zucchero.

di Salvo Taranto