Spettacolo di piazza

“Dai vieni, ne hanno preso uno” mi dice Paco tutto eccitato prima di correre verso la Piazza del Municipio. Mi gira la testa. Appoggio una mano contro il muro del palazzo alla mia destra e mi guardo attorno. Uomini e donne, giovani e anziani, chi con passo spedito chi caracollando, tutti si stanno dirigendo verso la piazza. Mi porto la mano sinistra alla gola, sto per vomitare.
“E allora, che fai?” mi rimbrotta Paco, tornato indietro dopo essersi accorto che non lo stavo seguendo.
“Sì, arrivo” gli rispondo con il tono scocciato di chi si sente ingiustamente rimproverato. Non capisco tutta questa fretta.
Mi afferra per il polso. “Non vedi che stanno andando tutti in piazza?”
Non rispondo. Mi limito a farmi trascinare.
“Chi prima arriva meglio alloggia” dice Paco facendomi l’occhiolino.
Capisco cosa intende, desidera un posto in prima fila per assistere allo spettacolo. Hanno preso un ribelle e si apprestano a torturarlo sulla pubblica piazza per farsi dire dove sono nascosti i suoi complici, dove tengono armi e munizioni, e soprattutto dove si trova la tipografia che stanno utilizzando per i loro sempre più pericolosi volantini.
La piazza è già piena per almeno un terzo. Paco mi stringe ancora più forte il polso e, usando la mano libera a mo’ di machete per farsi largo in mezzo alla folla in trepidante attesa, mi trascina a ridosso delle transenne. Ride soddisfatto. “Manca pochissimo, ormai”.
Con la coda dell’occhio lo vedo che mi guarda. Faccio finta di non essermene accorto e mantengo lo sguardo fisso davanti a me. Sul palco ci sono due militari armati di tutto punto, un altro, un sottufficiale, sta aspettando qualcuno appoggiato al corrimano della scaletta. Dal rumore sento che la folla intorno e dietro di me si sta facendo sempre più numerosa e accalorata.
Il jefe della polizia politica ha raggiunto il sottufficiale, il quale lo fa passare con deferenza. Alberto Carlos Martìn, già ministro della difesa ai tempi della Repubblica, con un gesto marziale, invita i due agenti che sorreggono il ribelle a scortarlo sul palco.
“Eccolo, ci siamo” esclama Paco.
Dietro il ribelle salgono altri due poliziotti, due energumeni alti e massicci: uno tiene in mano una frusta, l’altro porta con sé una borsa da medico.
La folla applaude, esulta. Il ribelle solleva il capo per la prima volta. Stringo forte le transenne con entrambe le mani. Paco si volta a guardarmi. Non trova le parole. Capisco tutto il suo stupore. Es mi hermano. Il ribelle è mio fratello.

(di Danilo Cucuzzo)