Tre anni prima, un giorno dopo

Lo cerco nel bosco. Nel faggeto gli stessi colori – il giallo tuorlo da afidi, le carie del legno in valve grigie, il micelio lattiginoso. Sono venuti con i cani anche qui, dappertutto. Hanno iniziato esaurite le quarantotto ore. Frugo con gli occhi sul fondo di un artesiano scoperto, mi spingo al limite segnato dalla rete. La ruggine è rappresa come sangue negli anelli.

Quando torno, è sera. In macchina, penso che vorrei sparire anche io, nel pozzo. Mi troverebbero subito: ho un telefono con il gps, non come il suo. 40 gradi nord, 17 gradi est. Dalle foto su Instagram, capirebbero che ho bevuto un po’ in compagnia. Dagli acquisti della mia carta di credito, traccerebbero il rifornimento di benzina – 50 euro, quasi un pieno. Dal mio profilo Facebook, scoprirebbero che ieri era l’anniversario. Ne ricaverebbero subito l’idea di un dolore, il gesto estremo. Continuo a cercare con gli occhi, sulla strada. C’è il buio azzurro di quando avevamo accostato nella carreggiata di servizio, io che respiravo il suo nome contro il sedile e fuori gli schizzi radi dell’extraurbana.

Lui esisteva solo per chi lo incontrava fisicamente. Sul suo cellulare, un modello precedente ai cristalli liquidi, c’era una rubrica senza numeri; nel suo portafogli solo contanti; un lavoro al computer con connessione protetta – «Un IP è come una faccia: ti seguono, ti riconoscono, ti trovano. Potenzialmente può riuscirci chiunque. A me questa idea non piace. Allora mi metto una maschera. La moltiplico. Rimbalzo di server in server fino a quando cercarmi è troppo complesso». Aveva l’ossessione del diritto all’oblio. Lo sento ancora parlare, si stressa i capelli, svogliato: «Finiamo a frittelle nei database; ci schedano per il gusto di schedarci». Dicono che forse aveva qualcosa da nascondere.

Facevamo un gioco. Con la testa sulla mia pancia, sussurrava al mio cellulare – «gattini», «massaggio orientale», «vinile»: dopo, per settimane, Instagram mi proponeva felini, Facebook offerte dei centri estetici e dischi microsolco usati – «Vedi? Ci ascoltano. Sanno anche che guadagni una miseria». Io pensavo solo alle vibrazioni della sua gola dentro al mio stomaco.

A casa, riempio la vasca da bagno. Provo ancora il gioco, ogni tanto: il cellulare alla bocca, dico il suo nome. Al suo posto ottengo link a siti di incontri, un affollarsi di inviti per gruppi self-help. Con la sua fissazione per la privacy, neppure ci scrivevamo. Non ho una sua parola, un messaggio, venti secondi della sua voce.

La data è oggi, ma tre anni prima, un giorno dopo. Hanno chiuso le indagini. Lui non ha lasciato traccia. Negli ultimi tempi, mi raccontava spesso della costa del Canada dove vanno ad arenarsi i piedi dei suicidi, intatti dentro alle scarpe. Mi torna addosso il ricordo delle sue impronte bagnate, lo sento camminare nel corridoio. A testa in giù nell’acqua, trattengo il respiro fino a quando smetto di cercare.