Ulcere

Aveva sentito il familiare fiotto di rigurgito acido risalirle su per la gola, serrarle il petto in una morsa fino a toglierle il respiro. Con la finta noncuranza acquisita in mesi di sofferenza – il suo ultimo vanto, ammiccare splendidamente nonostante la lama che le trafiggeva lo stomaco – lo aveva buttato giù con un sorso di moscato, mentre portava alle labbra, dopo averlo immerso con cura nella nuvola di panna chantilly, l’ultimo boccone della sacher che lui, intento a sorseggiare un ammazzacaffè – il classico tipo “non amo i dolci, preferisco il salato” -, avrebbe pagato per lei per guadagnarsi un seguito.
Il suo gioco preferito, morboso quel tanto che bastava a stuzzicare la sua fantasia anche quando si trovava in compagnia, era rievocare una per una le facce delle decine di gastroenterologi ai quali si era rivolta prima che la sua fiducia nella medicina morisse del tutto, il loro monotono coro “Si dimentichi caffè, cioccolato, alcolici, dolci; mangi solo in bianco.”
E lei li aveva ascoltati, sì, da brava ragazza ligia al dovere quale era sempre stata. Gastroprotettore a digiuno la mattina, procinetico mezz’ora prima dei pasti principali. La borsa carica di blister di pillole, fedeli al suo fianco quando ogni giorno timbrava il cartellino in ufficio; quando, attraversati i tornelli, diventava impossibile distinguere il sapore rancido del cibo non digerito dall’amaro di un lavoro deprimente. “Sei giovane, hai tante possibilità”, dicevano a volte.
E pensare che lei non aveva mai avuto un mal di stomaco, digeriva anche le pietre; e pensare che non aveva mai conosciuto un fallimento, che credeva di essere invincibile. 
Poi lui aveva mandato a puttane la loro storia perché troppo vile per affrontarne l’evoluzione e troppo pigro perché ne valesse la pena. 
Poi l’ennesimo colloquio per il lavoro della vita si era rivelato un buco nell’acqua che aveva ingurgitato ogni speranza di riscatto professionale. 
Poi le pillole avevano smesso di fare effetto.
Ed erano arrivate le abbuffate incontrollate, la voglia esasperata di dolci, la sequela di appuntamenti combinati su siti di incontri, le sfilate di finto interesse reciproco, di sesso mediocre e di notti a contorcersi sul letto in preda ai crampi e ai sudori freddi della nausea: quella fame bulimica di tutto ciò che la vita non voleva più darle e che non era neanche più sicura di volere. 
Anche questo le avevano detto: “Adesso che hai uno stipendio, che sei da sola, ora sì che potrai goderti la vita!”