Umanesimo e democrazia iniziano dal water

Mangiava per sentirsi in vetrina. Edith quasi ogni sera era al ristorante, spesso anche con uomini diversi. Camminava per raggiungere i luoghi dei suoi banchetti con la leggerezza degli angeli. Percorreva i viali della città in punta di piedi. Slanciata e meravigliosa: sembrava sempre che stesse volando. Lanciava ovunque sguardi di raggiante femminilità, così pregni di seduzione da lasciare chi li incrociasse nell’impotenza inerme e attonita di chi non può nulla, se non lasciarsi trafiggere e bruciare. Era una predatrice instancabile, una leonessa cinica e sprezzante che non caccia per fame, ma soltanto per assicurarsi che il mondo le cada ai piedi. Disgregava le certezze su cui molti uomini costruivano la propria esistenza, uccideva la moralità nobile dei padri di famiglia. Travolgeva cammini di redenzione che un tempo furono intrapresi nel nome di Dio, affogando virtù in un mar rosso di vizi e di carne.

Ora sedeva maestosa nella veranda dell’Épicure, dando sfoggio a tutto il suo splendore. Mangiava con garbo bocconi lenti e minuscoli di filetto. Arricciava la boccuccia non appena le sue labbra si chiudevano sul freddo metallo della forchetta. Così graziosi e delicati i suoi gesti da sembrare miracolosamente che quella carne al suo cospetto si liquefacesse per venir sorseggiata.

Mangiare non sempre significa nutrirsi, a volte coincide col vestirsi. Per Edith il cibo era solo un pretesto. Indossava i ristoranti che frequentava, ingeriva caviale e tartare con uno spirito analogo a quello con cui teneva al braccio le sue Louis Vuitton.

Quel cibarsi, aristocraticamente ostentato, di ciò che la gente comune può solo guardare al culmine di un’invidia tanto potente quanto è larga la distanza che separa chi la prova dall’oggetto del suo sentimento, era per questa prima dama del gala il segno della sua regalità, dell’egemonia della sua bellezza e del suo status sulla pochezza di quanti la osservavano e la sognavano dal basso della loro miseria desiderante. Non mangiava per fame, quanto piuttosto per assicurarsi che il cibo che ingeriva le conferisse il massimo grado del riconoscimento sociale. Per lei sedere a cena significava ergersi su un trono per lasciarsi ammirare.

Chissà se le era mai capitato di interrogarsi sulla natura del processo di cui era protagonista, mentre il cibo dopo averla attraversata evacuava dal suo corpo, quando il mattino seguente a ogni sua serata compiva quello che probabilmente era nella sua vita l’unico vero gesto d’umanità e democrazia.

di Francesco Rizzato