Unitè d’habitation n°1

Ho 61 anni e fino a qualche mese fa costruivo navi, costruivo traghetti, sempre più grandi, anche da tremila passeggeri. Poi il cantiere si è trasferito in Marocco. Gli altri sono andati. Io, cosa ti devo dire, sono troppo vecchio. Ho tre nipoti, una baracca sulla spiaggia e un paio di ulcere provocate da decenni di bevute a basso costo. Il sindacato, in attesa della pensione, mi ha piazzato qui, a fare il portinaio, il guardiano, a spiegare ai turisti come si compila il quaderno degli ospiti. Nome, cognome, occupazione, orario di visita. E guardali: regista, architetto, architetto, architetto, urbanista, sociologo, giornalista, studente, criminologo, fotografo, studente, modella, architetto. Non ci sono più operai. Non ci sono più negozianti. Eppure quando li vedo passare mi sembrano tutti disoccupati o disperati come me. Perché altrimenti andrebbero a visitare un museo vero, non un palazzo popolare in nulla diverso da quelli dei quartieri Nord se non per questi balconi dove il colore fa le croste, e per i bar alla moda al quarto piano. Qui i turisti vengono solo perché è tutto gratis, puoi prendere l’ascensore – sai che è lo stesso dal 1952? – e andare all’ultimo piano. C’è una vista che Marsiglia te la mangi, fino alle ciminiere di Fos. Se c’è il vento non stai in piedi. E tutti i fotografi e le modelle e i criminologi blaterano di razionalismo e si fanno le foto con i loro telefonini. Tutti in posa come damine davanti al modulor di Le Corbusier. Sai che questo pazzo non era neppure francese? Era svizzero, merda. C’è scritto qui, nel depliant che mi hanno fatto studiare. Perché, non si sa mai, a volte devo fare anche da guida, da ascensorista, da confidente a qualche criminologo annoiato, o a qualche corriere in pausa sigaretta, come te. Sono 165 metri per 24 per 56 di cemento armato. 337 appartamenti. Ci abitano davvero. La chiamano Cité Radieuse. Ma devi vederla d’inverno. Quando il mistral soffia storto e si infila tra i finestroni di legno. Chiedilo alla signora Derouillet, che ci abita dal 1952. Forse una volta era una città radiosa. Oggi è la versione nostalgica di un futuro democratico che non si è mai realizzato. No, non l’ho letto sul depliant. Vedi, io se fossi un architetto – se fossi un urbanista – costruirei baracche sugli scogli, case sugli alberi. Costruirei navi, in realtà. Ma non me lo lasciano più fare.

(di Giulia Mietta)