Costole

Angie non è esattamente il prototipo di bambolina che ogni cuore adolescente agogna.
Angie è ossa, un sorriso che annega nella fossa delle sue guance.
Sdraiata sul letto si accarezza il torace, piegando amaramente le labbra ad ogni piccolo avvallamento delineato dai polpastrelli.
Le costole sporgono, a testimonianza dei numerosi rifiuti subiti.
Gli occhi stanchi ruotano, sondano le quattro mura della camera. Solcano con sterile interesse le miriadi di poster che ne imbrattano le pareti.
Attorno a lei il broncio di plastica di Ryan Atwood vortica senza sosta come la bottiglia di cola sul banco durante la ricreazione. Si arresta.
«Che sfiga! Ti tocca baciare Angie!»
Tutti ghignano come orridi clown.
Persino il gruppetto di oche dell’ultima fila si volta divertito facendo oscillare gli atroci pendenti a stella dalle punte avvelenate.
Angie, in tutta risposta, abbassa lo sguardo tastando nervosamente la tasca dello zaino: l’ennesimo panino gettato nel cestino ad ingrassare una moltitudine di formiche, ma non lei.
«Angie, perchè perché hai quegli strani scatti alla pancia?»
«Angie, è vero che hai preso delle pastiglie per dimagrire?»
La verità è che per tutti loro Angie rimane ingombrante, sebbene ora la sua ombra si confonda con quella dei lampioni.
Lei piange, mentre sale con piedi di piuma sul suo tirannico amante.
«Let me whisper in your ear… Angie… Angie…»
La voce di Mick sopraggiunge a tratti dallo stereo della cucina, la camera dei supplizzi dove la madre armeggia con pentole e fornelli.
«Oh, Angie, don’t you weep, all your kisses still taste sweet, I hate that sadness in your eyes…»
Il display si accende, elabora.
«There ain’t a woman that comes close to you come on baby, dry your eyes.» 
Sentenzia. Il numero a due cifre lampeggia sullo schermo, specchiandosi nei pozzi che Angie ha al posto delle pupille.
«Angie, Angie, they can’t say we never try…»