Fumo

Il fumo mi lambisce i piedi. Fa sempre più caldo. Ma non voglio urlare. Guarderò questi volti ottusi uno ad uno, mentre il fuoco mi divora le carni. Sto fissando proprio te, Berta la macellaia. Ti ricorderò con il naso bitorzoluto a spennare oche e anatre nel retrobottega, le caviglie inzaccherate di sangue, le mani ruvide. Non celi il tuo disprezzo, mentre ricambi il mio sguardo. Mi hai chiamata strega anche tu, come tutti gli altri. Come Giosuè, il robivecchi, con il suo pastrano nero e un solo dente nella bocca fetida. Come Padre Eustazio, che qui davanti continua a implorare San Giuda Taddeo e la Beata Vergine affinché si prendano cura della mia anima. Proprio lui, che mi aveva confessata – giovinetta – nella chiesa di Santa Fosca, a Torcello, sussurrandomi che con quegli occhi cerulei e le gote di rosa non potevo certo meritare una penitenza. Ora sgrana il rosario e scuote la testa, borbottando frasi sul demonio che si sarebbe impossessato della mia anima. E forse sisì, un Diavolo, un Satanasso, la mia anima l’ha presa davvero. Ma non ha aspetto caprino, e le sue vesti non emanano odore di zolfo, ma balsami orientali. È qui davanti, vestito a festa, con uno sguardo bigio che mi scuote di brividi anche mentre le fiamme cominciano ad avvilupparmi le vesti. Il suo nome è Baldassare. M’ha accusata d’essere una strega, una meretrice, una bugiarda. Ebbene sì, forse sono una fattucchiera e una donnaccia. Ma non ho mai mentito. Rammento bene il suo sospingermi con braccio fermo e sicuro all’interno della stalla, tra il fieno e l’odore di sterco. Era una sera di maggio, dopo i vespri. Mi ha lasciata ancora ansimante tra la paglia. Così ho seguito la ricetta di Aracne, la vecchia erbivendola. Ho catturato un toporagno e schiacciato la sua piccola testa tra i pollici, finché  dalle orbite sono uscite le cervella. Ne ho bollito il corpo in modo tale che la pelle si staccasse, lentamente. Dopo aver attraversato il bosco fino alla fattoria di Biagio sono entrata nel pollaio, col terrore di essere scoperta da qualche contadino nottambulo. Afferrato un gallo, gli ho tirato il collo mentre s’apprestava a celebrare il nuovo giorno. Ho pianto sui semi di achillea e le radici di malva, mischiato ogni cosa. Poi mi sono intrufolata nella sua magione. Donna Costanza, incinta del suo sesto figlio, mi ha trovata accovacciata ai piedi del letto coniugale, con le mani sporche di mistura. Sono seguite molte grida, percosse, capelli strappati. E sono arrivata qui. Sul rogo.

Ora i ricordi si fanno più sfocati, il fumo m’annebbia la vista, la testa si appesantisce. Ti guarderò fino all’ultimo soffio vitale.

Non chiederò perdono di nulla.