Limoni dal Passato

Sono tornato indietro nel tempo per tirare un limone.
Sono nel corpo del me stesso di tipo dieci anni fa, ho qualche residuo di acne pre-adolescenziale sulle guance, un po’ di capelli in più, e non so perché cazzo sono qui.
Abbiamo appena vinto i mondiali e manca ancora un po’ all’ennesimo ritorno di Berlusconi. Nei miei ricordi di quel, anzi, di questo periodo, non c’è nessun evento traumatico da cancellare, nessun corso della storia da deviare. O forse sì.
Non c’è altra spiegazione: mi sono risvegliato nel mio passato post-puberale per Carla, la mia cotta del liceo. Bellissima, malinconica, spietata demolitrice di giovani autostime. Stessa classe, ci si guardava senza farsi notare, poi lei riuscì a farmi capire che le piacevo, o forse lo scrisse in qualche pezzetto di carta. Iniziarono così dei timidi accompagnamenti in stazione, che una volta vennero deviati su un parchetto dove, dopo momenti di imbarazzo allungati con chiacchiere irripetibili, le diedi un goffo bacio stampo sulle labbra. Ho sempre pensato che lei volesse qualcosa di più deciso, di più virile, tipo un bacio vero, con la lingua. Da quel giorno infatti, forse delusa, diventò fredda ed evasiva, riuscendo ad evitarmi nella minuscola aula del prefabbricato di plastica in cui era stata trasferita la nostra classe per mancanza di spazi. Ecco perché sono qui, stamattina, sveglio ad orari di cui la vita universitaria mi aveva fatto dimenticare l’esistenza: andare a scuola, accompagnare Carla al parco, farci due parole, lo stretto necessario, e sferrarle il limone che cambierà per sempre la nostra storia. Esco di casa senza fare colazione, tra le urla di mia mamma che indipendentemente da ogni cambiamento spazio-temporale ha come unica missione evitare mie morti improvvise per malnutrizione. Mi infilo nelle orecchie le cuffiette del mio nostalgicamente longevo i-pod bianco. In riproduzione casuale arrivano 2Pac, gli Arctic Monkeys, gli Iron Maiden, Inoki, i Death Cab, i The Fratellis e Tiziano Ferro. Buongiorno cazzo. Mi dilungherei su com’è stato tornare al liceo dopo tutto questo tempo, sulla vecchia di italiano e latino che se la prende sempre con Samuele a cui ogni volta vengono le guance rosse d’imbarazzo che sembra un alcolizzato, su Marco e Alessio che mi chiedono se ho visto l’ultima puntata di LOST, e io che per poco non spoilero con un anticipo di quattro anni che il finale è una cagata pazzesca e che è meglio se buttiamo in un altro modo tutte quelle ore. E poi le versioni copiate, le note sul registro, una canna in sette, chi si vanta di aver già perso la verginità. Ma lei è lì, prima fila alla sinistra della cattedra, banco vicino al muro. Tra la fine della ricreazione e l’arrivo della Prof. di scienze mi avvicino e le chiedo se posso accompagnarla in stazione mentre il mio viso prende fuoco. La voce mi è uscita spezzata e forse non ha capito. Non ricordavo avesse degli occhi così grandi. Sorride dolcemente e risponde che sì, va bene. Poi va tutto come nei miei ricordi: suona la campanella, faccio finta di parlare con i miei compagni e all’ultimo la raggiungo, facciamo un po’ di strada verso la stazione, lei dice che deve rimanere perché ha ripetizioni il pomeriggio così deviamo sul parco. Anche se non dovrei sono agitato come all’epoca, e forse anche di più. Lei ha lunghi capelli castani, indossa un t-shirt a righe orizzontali color pastello, è bellissima e profuma di qualcosa che ho sempre pensato essere bagnoschiuma alla mandorla. Ci sediamo su una panchina e parliamo di musica di merda, di quanto sia brutta la matematica, e di quanto rompano i nostri. Faccio meno fatica del previsto ad interpretare in maniera convincente il ruolo del quindicenne. Poi arriva il momento. Ci guardiamo negli occhi, in silenzio. Dai cazzo. Mi avvicino piano mentre il cuore mi esplode. Appoggio la mia bocca sulla sua e la lingua mi si spara fuori trovando un ingresso tra le sue labbra e sperando di non dover tornare più indietro. Per un po’ ci riempiamo di saliva. Vorrei essere un boa per mangiarla tutta senza doverla masticare. Ho paura che l’erezione ossea che sto avendo mi rompa la cerniera per scappare. Mi chiedo se se ne sia accorta. Poi lei si stacca, di colpo come una sveglia in piena fase REM. Ha lo sguardo preoccupato, e con la scusa della fretta se ne va, lasciandomi sulla stessa panchina, dieci anni dopo ma nello stesso momento. Quindi? Ho perso anche stavolta? Sono stato forse troppo aggressivo? Magari semplicemente lei non ha saputo reggere l’emozione. Sì, certo. Torno a casa, e con la scusa di essermi già riempito di tramezzini al bar corro direttamente a chiudermi in camera. Scrivo un sms a Carla. Non risponde. Gliene scrivo un altro e ci metto RISP alla fine a costo di sentirmi ancora più idiota. Niente. Apro MSN Messenger. Lei è in linea. Le invio un trillo. Poi la bombardo a ripetizione grazie alla molestissima patch dei trilli infiniti. Sta finalmente scrivendo qualcosa: Scusa… ho fatto una cazzata… mi sto sentendo con un altro…Una gif tristissima di un topo bianco con delle zampe enormi mi dà il colpo di grazia. Vorrei spaccare qualcosa o qualcuno, ma mi farei male in ogni caso. Vorrei salire in macchina e correre da lei, ma prenderò la patente tra più di tre anni. Vorrei arrivare a qualche saggia conclusione sul passato che non si può cambiare, ma ci sono intere filmografie di bassa qualità per quello. Accendo le casse del pc e faccio partire della musica. Un tizio tristissimo di nome Joseph Arthur canta accompagnato da una chitarra acustica. Cerco quel forum di LOST in cui andavo alla fine di ogni puntata per leggere le teorie dei fan e scrivo: L’isola esisteva davvero, non era un sogno dei protagonisti. Alcuni sono riusciti ad andarsene, altri sono rimasti lì. Quello che è successo è successo e basta. Il finale fa parecchio schifo ma rimane una gran bella serie.