Love is a dog from Vittorio Veneto

Attraversai l’Italia in treno ascoltando PJ Harvey e Beethoven su un vecchio lettore CD preso in prestito. Ogni tanto arrivava un suo messaggio, ogni tanto scrivevo poesie nichiliste con la penna rossa:

Ho visto la vanità della vita

Strisciare sulle piastrelle

iIlluminate dal sole.

Nulla mi è d’aiuto

Perché intanto vivo.

Cose da TSO per una sedicenne; e invece, vi dirò, mi divertivo moltissimo. La fiammella sartriana che prendeva vita dentro di me non era totalmente incompatibile con l’armonioso svolgersi dell’adolescenza. La morte e la trigonometria, insomma, avevano lo stesso peso nella mia vita e sapevo che quelle lezioni, quella musica, quel mood, Slam Dunk, la pelle di pesca che mi ritrovavo, scontavano l’odiosissima pena della limited edition.

Dicevo, attraversai l’Italia in treno. Era il dicembre del 2004 e dalla Sicilia andai a sfidare l’allora sconosciuto inverno veneto con tre maglioncini sotto la giacca Adidas. Ma stavo bene, dio se stavo bene. La prima sera delle prealpi Prealpi era cosa magnifica e terrorizzante insieme; la grappa era forte ma mai disgustosa. Nel mentre, ricevevo i suoi messaggi su un Nokia 3330 come venissero da Uranio, e invece era più vicino di quanto si possa pensare. Solo un po’ più in là, più a sud, dove fanno la mortadella buona.

Quel dicembre fu il dicembre più bello della mia vita, persino più bello di quello dopo, segnato da una tardiva varicella. Quel dicembre durò due anni. Non abbandonai mai la penna rossa: scrivevo per lui senza che lo avessi mai avuto; lo osservavo come un fotografo avido e curioso osserva un soggetto impossibile da ritrarre; era il mio grande amore pur non avendolo mai sfiorato.

Rub ‘til it bleeds era solo l’inno di un tormento mai provato e perciò estraneo, quasi risibile; non pretendevo nulla, non desideravo nulla: ero libera di costruire il mio amore per lui secondo i miei schemi bizzarri e imprevedibili.

Non feci mai niente di azzardato, niente di veramente folle. Ricordo solo di essere tornata dal mio viaggio morta di sonno e con la matita nera pasticciata intorno agli occhi. Qualcuno mi aveva detto che anche lui era tornato: allora la Vespa della mia amica mi consegnò fulminea alla sua vista. In mezzo alla gente, con le luci arancioni del centro storico che mi stordivano ancora di più, da realtà aumentata prima ancora che si sapesse cosa fosse. E sorridevo, e sorrideva, com’è andato il viaggio, bene, com’è il Veneto, bello, c’è più freddo qua però.