Una Sacrosanta Estinzione Sociale

E’ la placida e immobile calma prima della tempesta, quella che si respira lungo la strada che porta fuori, verso la periferia congelata.
Qualche chilometro oltre l’anello autostradale, dove le luci si fanno rade e il vento rugghia dalla foresta tutt’intorno, illuminata dai lampioni color arancio conficcati nel buio, quella lingua d’asfalto si slancia segaligna verso un capannone che sta lì, immerso nella solitudine di una zona industriale convertita a grigio miraggio di salvezza per popoli in fuga dalla ferocia del mondo.
Un manipolo di uomini bianchi scompaginato e rumoroso, avanza ai margini dei marciapiedi verso quel rifugio improvvisato come un branco di pallidi sciacalli a spasso nell’oscurità.
Le teste rasate di fresco, glabre, incorniciate in giacche Harrington tappezzate con scritte del tipo ZOG, SWP eccetera, sfilano sotto i lampioni mentre un nugolo di respiri condensati si perde nell’oscurità del cielo.
Ma qualcosa ad un tratto, in fondo alla strada deserta, inizia a schierarsi nell’ombra. Appena oltre il cancello erto a frontiera invalicabile della testa di ponte straniera, un muro di carne, kevlar, plexiglass e manganelli staziona come una barricata vivente più nera della gelida notte Sassone. Il braccio armato del multiculturalismo euro-germanico attende al varco, imperturbabile.
Alcuni lugenpresse, defilati, documentano l’avanzata del commando a distanza di sicurezza da spranghe chiodate, molotov e insulti abbastanza scontati. La sortita di una sub-cultura in agonia in diretta streaming contro l’evoluzione di una società che non ha tempo da perdere con il re-boot di un marketing vecchio di settant’anni intento a infiocchettare il cadavere putrefatto dei valori nazional-cristiano-occidentali lungo l’autostrada della globalizzazione totale del 21° secolo.
Nella loro patetica lotta anacronistica contro lo straniero di turno, questi simil-teppisti in jeans a sigaretta e dottor Martens si aggrappano ad una rabbia furibonda che diventa puro e semplice meccanismo di sopravvivenza sociale, aborto di una patetica fobia xenofoba da accerchiamento culturale, lo zoccolo duro dell’ignoranza cieca, fine a se stessa. Inneggiano : Noi siamo il Popolo! Sbraitano puttanate della serie: Blut und Boden! Meine Ehre Heisst Treue ! Weiss Macht!
Vomitano fiumi di propaganda preistorica contro le teste di cuoio immobili, resilenti, mulinando nervosamente catene e coltelli come bulletti alle prime armi. Nel fumo urticante dei gas lacrimogeni che iniziano a piovere dal cielo come lattine infuocate, quell’accozzaglia di suprematisti machizzati si compatta, lanciandosi a perdifiato in un attacco all’arma bianca che sa tanto di disperazione ed emarginazione sistematica: una sacrosanta estinzione sociale. Troppo codardi per farsi saltare in aria in qualche bel attentato, troppo ben accomodati su un welfare che disprezzano, eccoli lì, impegnati in una grottesca azzuffata con il sistema costituito, un violento e roboante palliativo al cambiamento che si muove troppo velocemente e lascia indietro i soliti patetici stronzi che non accettano un mondo di homo homini lupus in cui a chi primeggia non gliene frega uno cazzo di niente e nessuno.
E ora guardateli bene messi li, fossilizzati nell’identità socio-culturale di una generazione di disadattati col culo per terra, stesi senza tanti complimenti come sacchi dell’immondizia. Spauriti e insicuri, sfilano zitti zitti nelle camionette degli sbirri, lanciano occhiatine di sottecchi qua e là, vergognosi, scrutano quelle fredde telecamere col muso lungo, cercando uno sguardo
compassionevole negli occhi del bel mondo in diretta, che però, guarda un po’, non arriva proprio mai.