Storia di Domenica

2010 (credo). Primavera (di sicuro), una domenica (era l’unico giorno di happy hour, quindi ne sono certa). Frazione di un paese di provincia un po’ trascurato, come normale qui intorno. Salii in macchina con A, Rasta e Psychospaccino. Era un evento il fatto di essere nell’auto di un neopatentato pronta a bere due spritz e poi dirmi ubriaca, senza contare che era una delle prime volte che mi sentivo così libera.

Rasta era appena stato mollato da una con la faccia da metadone, lui aveva il nasino a patata sempre rosso, era a buon rendere in fin dei conti.
A era persa per un pezzente col capello castano e pettinatura alla Fabio. Ce l’ha ancora e infatti non é è progredito molto nella sua vita. Sono scelte.
Io ero sgattaiolata fuori casa coi miei 17 anni in spalla e mi sorprendevo di quanto esilarante potesse diventare una bella giornata. In generale, faticavo a capire una beata minchia.
Psychospaccino non aveva ancora rotto il naso a Rasta e al Cane, nient’altro da dire.

Parlottammo un po’ sedute sul muretto basso mentre semi-Fabio era nei paraggi. Lei era cotta e lui faceva il figo. Lui lo fa ancora, lei ha trovato di meglio. In compagnia di due aperitivi, Rasta decise di presentarci Rivoluzione, con lui il Filosofo e Te. Fumavi sigarette mefitiche e bevevi aperitivi da due soldi, probabilmente pensando solo a continuare a bere e senza interessarti del Filosofo che provava ad ammaliare A e me.
Mi sei rimasto impresso, mi sembravi l’eroe underground delle Tre Venezie, un po’ Ratman un po’ il tipico adolescente.
Quando calò la sera ripartimmo sulla Fiesta del Rasta, acciuffando una due tre quattro pizze d’asporto e mangiandole in camera di A con un film in sottofondo. Era stata una bella giornata.

Il giorno dopo era già lunedì e il prof di fisica era insopportabile. Non scrissi il tuo nome sul mio diario, non ti rividi più per almeno un paio d’anni. Ti pensavo occasionalmente, per la tua fama che mi faceva sorridere più che per qualcosa che mi avevi detto. Mi hai detto qualcosa, per caso?
Mentre il dispensatore di 4 spiegava, non sapevo che seduta su un muretto basso avevo trovato la mia persona; che mi avresti detto che mi ami quando sono stanca e che tra uno due cinque dieci cinquantasei anni ti voglio guardare dall’altro lato del divano la sera mentre la televisione parla in sottofondo.

Sei anni fa speravo di non prendere il debito in matematica, ora sogno di guardarti davanti al frigo la domenica mattina lamentandoti che non abbiamo niente per fare colazione.
Due cornetti alla crema, grazie.