Venezia è un imbroglio

Campane. Un funerale, forse il mio. Ma non può essere: la palpebra mi dà prurito, sono ancora vivo.

È la Madonna dell’Orto, il meccanismo deve essersi inceppato. Succede una maledetta domenica su due, d’estate è un inferno. Il fatto è che dormire con la finestra aperta ti rimette al mondo: il puzzo di marcio nelle narici è meglio del caffè.

Va bene: sveglia.

Cristo.

È tutto storto: hanno girato lo schermo di 180 gradi. Il campanile sembra la freccia di un locale pubblico che indica il cesso, il pozzo in mezzo alla piazza un carciofo transgenico cresciuto a dismisura.

Un momento: non sono in camera. Ho la guancia appoggiata su un selciato che puzza di pesce e il sole mi trafigge il cervello. Sto sudando e il cuore mi batte come un cannone.

Riavvolgo il nastro: ero in osteria da Numa e abbiamo preso a bere con Marco e Paolo. Poi l’olandese: deve essere andata via con le sue amiche arrapate. Peccato, ci avevo creduto. Per un minuscolo istante, ma era bastato a gonfiare le vele.

Ha ragione Guccini: questa città è un imbroglio, buona solo a raccontar storie di avvinazzati. Siamo presuntuosi come gli attori di un circo orientale, ma non sappiamo distinguere il latrato di un cane da quello di una motonave. Ci hanno abbandonati in un Luna Park, e noi combattiamo la distanza con un sarcasmo alcolico, irriverente a chi ci vuole diversi. È una storia di santi la nostra, scambiati per poveri diavoli e rinchiusi nel mondo delle meraviglie.

La bellezza ha salvato il mondo ma si è dimenticata dei nostri cuori.

Ma da qui pare tutto integro. Il vento odora di mare e sciacqua gli edifici come una massaia diligente. I muri si sono stinti, ma il verde del canale lampeggia coraggioso sballottato fra le chiatte.

Forse l’olandese è qui in giro a cercarmi. Forse fra poco mi sveglierò su di lei, mentre il rintocco di un campanile secolare sottolineerà l’incanto.

Dovrei arrendermi al tempo, mentre lui si impadronisce di me e di ciò che mi sta attorno. Sono Venezia anche io: corriamo assieme su un binario di mare, mentre rovisto ogni sua prospettiva in cerca di un miracolo. Deve essere nascosto lì, fra la punta del campanile e il cielo: non vedevo quel blu da migliaia di anni.

Quell’airone brucerà, se prosegue a volare così vicino al sole. Finirà per arrostire di entusiasmo, mentre mezza città si gode lo spettacolo. Io rimarrò qui, senza muovere un dito. Chissà se la benedizione riuscirà a raggiungermi.