Art. 423-bis codice penale

Chiunque cagioni un incendio su boschiselve o foreste ovvero su vivai forestali destinati al rimboschimento, propri o altrui, è punito con la reclusione da quattro a dieci anni…

Un uomo cade in montagna, si frattura una gamba e per attirare i soccorsi lancia un razzo di segnalazione che ancora acceso cade in un cumulo di foglie secche; il figlio di un cacciatore esplode petardi, spinge verso il fucile le beccacce nascoste fra le sterpaglie; un contadino raduna, brucia frasche e paglia al limitare del suo campo, fa pulizia e le scintille si disperdono; un forestale precario nasconde per protesta un innesco ai margini del bosco. Ognuno agisce con motivazioni diverse in luoghi, contesti e situazioni differenti, e diverso è il grado di responsabilità di ciascuno nelle conseguenze: l’incendio. Vengono distrutti ettari di bosco, vite sono messe a repentaglio. Definire la gravità del gesto non è facile perché non è marcato il confine fra accettare il rischio che un evento possa verificarsi e agire pensando che lo stesso non si verifichi, confidando nelle proprie carenti capacità. È pressoché impossibile stabilire la sincerità di un “non l’ho fatto apposta”, ciononostante non è infrequente sentire o leggere speculazioni sull’assenza o meno di volontà; chi le sostiene a volte è anche chi non è titolato a calibrare e stabilire la pena. Così le fiamme divampano alimentate dalle chiacchiere e dall’inchiostro, ardono più dei rami secchi, dell’erba ingiallita. Sospinte oltre da forze più inesorabili di vento e siccità, soffocano la brace di animi, menti e coscienze. A chi sostiene che la “colpa” implica sempre l’assenza di consapevolezza che si può ravvisare nella leggerezza del figlio del cacciatore, nella disperazione dell’escursionista o nella superficialità del contadino, c’è chi ribadisce che non si tratta di consapevolezza, bensì di intenzione. Si incista a delineare le gradazioni analizzando negligenza, imprudenza e imperizia. Nel frattempo le lingue ardenti si avviluppano alle tesi e deformano i lineamenti dei fatti, della realtà, ne inceneriscono i connotati; laddove anche un minimo di volontà rivela la sfumatura psicologica dell’accettazione del rischio a fronte dell’errore di valutazione, e viceversa, non è circoscritto il confine fra intenzionalità e concatenazione di eventi fortuiti. Le pire si moltiplicano, devastano implacabili fino a quando trovano carburante, resistono alle colonne d’acqua lasciate cadere dai velivoli, oltrepassano le roste, le piste, le barriere di terra e cemento fino a morire nel silenzio. Mentre il debbio prepara i terreni ad accogliere nuove colture, le terre attraversate da questi ardori mai più saranno fertili, asfissiate da una devastazione di cenere.