Bimbominkia’s armageddon

Non farò un pensiero sul 2084 ma un pensiero da venticinquenne che pensa ai suoi trent’anni: il mediterraneo scoppierà entro quella data, il tempo che i quindicenni della primavera araba siano grandi abbastanza da farci il culo in tutti i settori. I privilegi dei figli d’italiani, o spagnoli, o greci, finiranno, perderanno di senso, non esisteranno materialmente più, evaporati nella crisi del debito sovrano. Addio al mondo che conosciamo. Gli stiamo dando questo addio con atteggiamento indifferente e annoiato, da cinici hipsters di inizio millennio. Quando ci accorgeremo di averlo perduto, ci attaccheremo alle cose che ce lo ricordano e non vorremo più staccarcene.

I nazisti hanno perso la guerra da settant’anni e l’imperialismo americano ha corroso le ferraglie dell’unione sovietica. L’Europa si è unita nella moneta unica e forte per competere nel postcolonialismo mondialista e si è beata dell’highest quality of life degli wasp per decenni. Ma qualcosa è andato storto. Dei paesi colonizzati dell’ottocento come la Cina e l’India ora possiedono pure il capitale oltre che la forza lavoro. Non sono ancora un bacino di consumo pienamente d’elite come quello europeo, ma poco ci manca. Costruiscono città del futuro e vengono a scattare foto ai nostri monumenti con i cappellini a visiera lunga, in comitive di attenti osservatori. L’America è l’economia più indebitata del mondo e i cinesi ne possiedono oltre il 60% in buoni del tesoro. Le banche sono fallite e sono state finanziate dagli Stati, ora falliscono alcuni Stati e ci parlano di spread, bond, tripla A, agenzie di rating e pensioni. Ci preoccupiamo, ci chiediamo un timido perché, poi continuiamo, come individui occidentali, a sentirci in diritto di perseguire un futuro di privilegi e felicità, da detentori dell’etica e della cultura dominante. Perpetriamo stili di vita consumistici e yankee, pretendiamo istruzione superiore e innovazione tecnologica. Non sarà così.  Balliamo pogando su un mondo che è già fallito in quest’ anno 2012. La fine. I maya: gli indigeni che così inermi si sono ceduti ai conquistadores occidentali, predicono dalla tomba la fine di un ciclo, il subentro di una nuova era. Viviamo trascorrendo cupi sui nostri campi padani i giorni tristi della crisi, spendendo i soldi che sappiamo stampati dai privati della banca centrale europea, informati su tutto, consapevoli di niente. Il bagliore dell’ottimismo a stelle e strisce e il ghigno di Berlusconi sono andati ormai, sono un passato recente che ancora aleggia a coprire la frattura in atto. C’è chi ancora spende la sua paga da figlio di libero professionista in prosecco e Montenegro, ma mi sa che la pacchia è finita. Lo spero, o lo temo, non lo so, lo aspetto. Vedo tanta gente a casa su facebook, sarà che è ancora inverno. C’è gente interessante e intelligente che forse si muove a suo agio nella realtà liquida del postmoderno, si muovono, creano, hanno spirito creativo. Anche a me è stato detto spesso di muovermi, di impegnarmi, di crederci, ma se penso a tutti questi figli di papà piegati come me su facebook mi viene da piangere. Non che lo voglia chiudere, sia chiaro, sono anch’io un figlio di papà.

Italian style. Solamen miseris socios habuisse malorum (Spinoza, Etica, 4,57, l’ho cercato con Wikipedia). Solo che la mia generazione sta in mezzo alla frattura tra l’epoca televisiva e quella digitale e quindi subisce la classica spersonalizzazione del disadattato che fino a poco tempo fa era prerogativa del colonizzato. Languiamo pigri come su una ciambella nel mare di facebook. Siamo in diritto di farlo. Ci stiamo bene, siamo comodi. Ma è sorto un problema: a quanto pare nel “terzo mondo” hanno visto la nostra comodità e l’hanno desiderata. Maledette razze inferiori. Vorranno avere dei diritti anche loro, ma che cazzo non se ne stanno nel loro brodo in culo al mondo? Dai cazzo! Metto un bel meme di disappunto fuck yeah!

Il problema è facebook. Ci anestetizza con troppe informazioni che ci rendono cinici e ciechi. É facebook che serve risorse in pasto a figli di altri tempi economici. Italiani, occidentali. Surfiamo sui privilegi eppure ci lamentiamo delle tasse e della finanza mondiale, urliamo, oltre che al telegiornale, su internet, tramite post, il nostro sdegno. Sdegno incondizionato e fortemente segnato dal populismo. Ci informiamo nella misura che ci lasciamo informare e ci indignamo, diciamo no ai tagli del governo Monti e andiamo a bere 50 euro in birre senza accorgercene. La nostra primavera è uno strombazzamento di camion, in tv contadini siciliani coi forconi e categorie in sciopero: la nostra nazione non va bene e non ci consente il benessere. Fanculo Italia. E’ colpa dei politici se non abbiamo più il nostro benessere. La bella vita italiana non l’avremo mai più. Penso che un sogno così, non ritorni mai più/mi dipingevo le mani e la faccia di blu. La crisi del modello statale era nell’aria da decine di anni, sta esplodendo dopo la crisi dei valori, insieme alla crisi del debito sovrano. Il nazismo predicava una preventiva statalizzazione e razzismo statalizzato per far fronte all’internazionalismo della finanza liberale e per arginare l’ideologia comunista. Voleva un modello di sviluppo alternativo a quello del mercato globalizzato anglosassone, perdendo la guerra ci ha lasciati, come continente, in balia dell’egemonia passiva di Hollywood, del consumo americano che avrà pur sconfitto il modello sovietico, ma è stato poi piegato dalla sua stessa mentalità edonistica e dall’operosità sfruttata del comunismo cinese. Hitler ha perso contro altri ariani, quegli ariani hanno perso contro le “razze inferiori”. La mia tesi è che perderemo i privilegi scontrandoci con gli attuali quindicenni del medioriente, usando male la tecnologia. Siamo nelle mani dei nostri quindicenni. Sti cazzi! E che faranno? Entreranno con la frangetta nelle stanze dei bottoni? Miglioreranno il sistema con tatuaggi e divaricatori? Se pensassi come un quindicenne europeo che passa tutto il giorno su facebook penserei che Hitler è un emo ahahahahahahah. Ma se pensassi come l’intellettuale che dovrei essere per fare delle tesi, penserei che Hitler è un emo sì, ma un emo fortemente radicato nel fatalismo razziale, nel quale riecheggiano le vittoriane memorie della crisi di valori dell’occidente industrializzato nei confronti del “buon selvaggio”. Un vittoriano periodo di spleen  e struggimenti amorosi, di vampiri e licantropi: seghe mentali di una cultura ormai inutile. L’istruzione, la cultura e l’accademismo non ci salveranno. Quello che stavo dicendo prima. Ho ancora la capacità di seguire un punto linearmente ma penso che anche questo paradigma verrà cambiato nel giro di qualche decennio. Parleremo tutti a caso, senza dire nulla. La sintassi e la logica organica dell’occidente aristotelico sono al collasso. Ci stanno facendo un ultimo e disperato lavaggio del cervello, siamo completamente in balia degli eventi, ne succedono troppi. Non sappiamo cosa ci aspetterà il futuro e non ce ne frega una sacrosanta mazza perché siamo anestetizzati all’orrore. Nostri cuori di tenebra. Non abbiamo parole per il mondo, il buffo è morto, il senso dell’assurdo è stato perso con l’evoluzione digitale degli ultimi cinquant’anni. Subentra un linguaggio a discapito di un altro, perdiamo il certo e il classico, imbrigliati nella rete che veramente realizzerà tutti gli scopi umanitari di libertà e uguaglianza che gli illuministi hanno realizzato col sangue del selvaggio. Risolverà la tesi nazista che il livellamento delle uguali opportunità ci ammollirà come “razza”, ma non perché ci contamineranno, ma perché ci siamo accartocciati su un benessere fittizio costruito dalla tv, e ora, loro, sono meglio di noi.

La mia generazione sarà la prima a essere mangiata dall’evoluzione della specie, la pigra razza europea dei privilegiati subirà lo scacco della storia. La sfida con la storia è sempre troppo grande, meglio pensare ad aggiornare il proprio stato su facebook.

(di Matteo Cavazzon)