Bruciando – cosa ho visto nel fuoco

Molti mi chiedono perché l’ho fatto. Capisco che vogliono sapere se volessi ammazzarmi. Rispondo subito di no, ma fatico a trovare altre motivazioni. L’unico modo in cui riesco a spiegarmi è raccontare tutto quello che ho visto nel fuoco. Immaginate il fuoco fuori di voi, immaginatelo dentro di voi. Questo è quello che ho visto.

La prima volta che lascio la città in cui sono nato attraverso la Brianza sul sedile del passeggero. Le fabbriche bruciano carbone, le macchine consumano carburante, io accendo una sigaretta e butto il fumo fuori dal finestrino. Le luci del centro sociale milanese, i fuochi nel giardino per scaldarsi, la fiamma dell’accendino. Tornare a casa accendere la luce.

Uscire dalla città. Per sempre, perché? Per l’Altro, per conoscere l’Altro. Treni, macchine, autobus, aerei per tornare a casa. Bruciare tutto questo carburante per tornare a casa, per andarsene da casa. “Perché?” chiedeva ogni tanto qualcuno sorridendo. Io non sapevo rispondere, guardavo per terra, spegnevo la sigaretta con il piede sinistro oppure ingoiavo un altro bicchiere per infiammare la gola.

Un giorno questa cosa dell’Altro è diventata seria, non semplicemente una volontà. Tornare a casa non era più tornare nel Nord Italia. Il carburante dei viaggi aveva bruciato l’ovvietà di alcune quotidianità e io notavo sempre più contrasti. Questi contrasti mi parvero inizialmente problemi, crepe nel marmo di una cultura che non vuole cambiare. Spaccature strette ma profonde, in cui molte persone finiscono. Accendere il gas per preparare il pasto familiare, il petrolio della plastica buttata. Queste immagini mi sembravano la conferma di un disegno sbagliato. In tutti i gesti trovavo una fiamma ardente, tutto scottava e non riuscivo più a capire. Non riuscivo più a capire, perché mi vedevo staccato da questo bruciare, perché mi vedevo innocente.

Ma invece eccomi bruciare tutto quello che incontro, perché ho imparato ad essere così. Mi è stato insegnato che il tutto si basa sullo sfruttamento e chi è alla fine della catena sfrutta l’unica cosa che gli appartiene: la terra. Scavare nelle montagne per prendere il loro cuore, l’utilizzo del legno, della terra come se non fosse parte di sé, ma proprietà.

Torno e nulla è come prima. Questo sentimento è legato ad una precisa melodia, ad un mantra che ascoltavo la prima volta che decisi di andarmene. Lasciando la mia città natale penso ogni volta al verso principale del testo: “mi do fuoco per protestare la tua assenza”.

Per quanto cerchi di allontanarmi da questa terra, da questa cultura, trovo l’ardore dentro di me, sento capire e scoprirmi come parte di una terra che vuole devastarsi. Il fuoco non purifica, il fuoco brucia, ferisce, ma solo chi lo ha attraversato può parlarne. O almeno così dicono.

Verso la benzina dovunque e accendo la mia ultima sigaretta.