Cocktail Molotov

Raffaele era furioso e voleva bruciare il mondo. Non aveva nemmeno sedici anni.

Tempo dopo, si rese conto che le fiamme che voleva vedere avvampare in piazza Affari e in piazza Colonna erano le stesse che gli bruciavano dentro, che gli mangiavano lo stomaco di giorno e i polmoni di notte. Ma non poteva saperlo, allora. Trangugiava un libro dopo l’altro per placare i bruciori di stomaco, e così alimentava l’incendio.

Si iscrisse a Storia. Si iscrisse al collettivo e, una volta, persino a un partito. Quando fumava era come vedere il fuoco che aveva dentro.

Scrisse la tesi sul destino dei paesi balcanici dopo il crollo dell’Unione Sovietica. Lesse tanto che l’argomento lo nauseò. In magistrale scelse Scienze Internazionali.

Fu assunto in banca. Gli piaceva poter contare su un’entrata fissa a fine mese. A volte scopava, ma ne poteva fare a meno. A volte gli capitava di innamorarsi ed era come se qualcuno soffiasse sulle braci che ardevano sopite nel suo petto. Non durava mai molto.

Decise di licenziarsi perché era stufo di compilare tabelle Excel. Ricominciò da capo con uno stage nel marketing, dove si sentiva più libero di esprimere la sua creatività. Si prese una cotta per una collega e, qualche settimana dopo, erano fidanzati. L’estate scorsa sono stati in vacanza in Malesia.

Ora Raffaele emerge dalle profondità della metro rossa. Si sente subito spaesato. Non capisce ancora perché, ma legge nei flussi dei passanti che c’è qualcosa di insolito. Poi sente le voci in lontananza, i barriti delle vuvuzela ed i cori. Oggi era prevista una manifestazione.

Accelera il passo in direzione dell’ufficio, ma il frastuono si fa più vicino. Svoltato l’angolo, si ritrova l’intero corteo che avanza nella sua direzione.

Ci sono fumogeni rossi, striscioni e persone coi megafoni in piedi sui furgoncini. E c’è la polizia che fa cordone.

Qualcosa si muove. Un urlo, un botto. I cori si trasformano in vociare indistinto e la mandria intera si mette a correre verso un’unica direzione, incanalandosi nella via.

Un istinto primordiale si risveglia in Raffaele e, senza riflettere, prende a correre a sua volta. Il cuore gli batte veloce, corre forte per fuggire dalla massa, per salvarsi la vita. Inciampa.

Arranca in mezzo alla foresta di gambe, riesce a trovare riparo dietro un cassonetto della spazzatura. Si rialza a fatica.

È allora che lo vede. Un ragazzino, non avrà neppure sedici anni, la pelle di un colore indefinito tra il Nordafrica, l’Asia Minore ed il Sudamerica. Gli occhi neri che spuntano tra il bordo del bavaglio e la visiera del cappellino. La posa plastica del braccio già piegato all’indietro, pronto a lanciare.

La bottiglia riempita di benzina volteggia in aria. La miccia disegna cerchi di fuoco. Fuoco vero, come quello nelle iridi nere del giovane. Occhi furiosi, che vogliono vedere il mondo bruciare. Voragini in cui arde una fame ben più profonda di quella che un tempo divorava Raffaele.

La molotov si infrange a terra. Esplode l’inferno.