Contergan Love

Un’opzione binaria è un contratto con cui il proprietario di un diritto ha la possibilità di vendere o acquistare il titolo sul quale l’opzione stessa è iscritta. E’ una scommessa, in pratica, sul trend, ossia l’andamento di mercato di un determinato titolo in un periodo determinato. Si gioca al rialzo, crollando spesso al ribasso. Specchi d’acqua in pozzi ellisiani evoluti di giovani ottantini huppies da salotto, cresciuti poi in calzettoni e mutande, portati all’esacerbazione, che controllano ogni giorno il saldo del loro credito bancario, ma che alla fine vivono sperperando anche l’ossigeno che respirano.

Il denaro, come la felicità, è un’aspirazione a cui non tutti possono giungere, anche perché forse, semplicemente, non si è geneticamente portati. Il cosiddetto “esser nato sotto una cattiva, o misera, stella”.

I veri soldi stanno altrove, dove stanno i veri investimenti, dove il mio patrimonio finanziario bello consistente se ne sta placidamente in panciolle.

Introduco a forza altro cibo nella mia bocca, sforzandolo, stracciando prima la carne con i canini e masticandola poi con i molari, tritandola finemente. Cerco di ingoiare, ma la mole è impressionante e rischio di soffocarmi. Congiuntivite e umidità dai miei opulenti occhi salmastri, mentre districandomi bevo un sorso d’acqua per aiutarmi nella deglutizione.

La trippa calda fuma nella scodella di porcellana, piatti ereditati e risalenti ad avi di promiscua ed incestuosa genealogia, mentre cerco di scorgere e dividere, in un baldanzoso attimo di tassonomia cronica, le varie parti di interiora che compongono la pietanza. Un pasto bollente per uno stomaco in subbuglio è il giusto merito per l’asciutto lavoro odierno.

Investimenti, investimenti per il futuro.

Seduto su una vecchia comoda sedia interamente in mogano americano, libertinamente in déshabillé (tralasciando le scarpe stringate di una brillante pelle nera di lucentezza patinata di uno squisito calzaturificio fiorentino) col freddo legno che mi sorregge lo natiche, mi ingozzo con parsimonia, con cautela, perché nemmeno una goccia di zuppa deve andare sprecata, mentre sento il formicolio indotto dalla mistura speciale di spezie, che preparo io stesso, sfrigolarmi insistentemente il palato. E’ una mia elaborazione affinata nel corso degli anni in cui si distinguono sostanze quali capsaicina, isotiocianato e piperina (date appunto dal peperoncino, senape tritata e pepe) e in ultima aggiunta dello zenzero polverizzato che, grazie al rizoma, tra le altre, ha un’azione antiemetica. Le mie labbra, ora quasi completamente anestetizzate, possono procedere con l’ingurgitare indistintamente la carne perlopiù quasi rancida che osservo emergere dal pomodoro oleoso nel cucchiaio, che è l’insinuarsi sopraelevato di un’isola d’appestati, un lazzaretto esiliato al largo è quarantena di una covata batterica che espellerò, si spera, con la prossima evacuazione.

La carne è un bene prezioso se non la ripeschi dal bidone dell’immondizia nel retro del supermercato dietro l’angolo dopo che vi è stata gettata perché scaduta e maleodorante, senza contare inoltre, la necessità prima di pattugliare e sorvegliare i commessi se non si vuole arrivare troppo tardi per dover rubare il bottino a qualche randagio o all’immancabile sciame di bailamme dittero, combriccola di compagni di commensalismo di cui farei volentieri a meno.
Sento il mio ano dilatarsi come colto da uno spasmo che ben preannunciavo, il suo respirare affannoso è sintomo d’un asma rigurgitante, un bofonchiare sputacchiato in dispnea che infiamma le mucose volgarizzandole in ragadi e emorroidi pulsanti che rosse palpitano per il torrido effetto collaterale della piccantezza speziata. Rovesci di pioggerelline fecali e ingorghi granulosi nel secchio sottostante oramai colmo e il mio scampanellare indisponente conducono il tempo accompagnandomi nella mia flatulente ouverture culinaria.

L’entrata del mio maggiordomo, che prima inizia a pulirmi delicatamente l’ano con la tovaglietta accanto al piatto, colma della mia sporcizia boccale, per poi prendere saldamente il secchio debordante, è seguita da uno sguardo sufficiente e disinteressato, in realtà cagnesco, che è lo scacciare l’incubo di precariato petit-bourgeois sempre onnipresente che mi perseguita immemore.

Mangio carne andata a male e non vivo di nulla, è vero. La mia casa è spoglia, abito da solo, al risparmio, perché l’amore ha sempre un prezzo, sia in termini economici che emotivi, prende sempre qualcosa. La castità e l’astinenza indiscriminata, la frugalità romantica quindi, è la via da intraprendere per raggiungere la serenità di tasca e di cuore. La servitù mi è indispensabile, invero, del resto mi darebbe la nausea il dover manipolare i miei escrementi, perché sono pur sempre una persona di un certa levatura dopotutto, inoltre è un conveniente mezzo, visto che siamo in un paese verde, ecologista, e io sono al passo con i tempi. Sono un patriota, uno che contribuisce attivamente vendendo le proprie delezioni tanto al chilo solo per veder prosperare questa nostra grande società.

Mi alzo, indossando la talare nera che sta sopra la tavola, stirandola con il palmo della mano nelle proprie imperfezioni di increspature spiegazzate ricomponendo quella sua apparenza intonsa e impeccabile, poggiando a seguire sul capo il solideo ponsò in seta moirée che avevo adagiato precedentemente alla mia destra, uscendo poi dall’enorme porta alle mie spalle ed emettendo un flebile rutto segno della mia digestione imminente e dell’investimento ottenuto al rialzo, sentendolo riecheggiare nell’immensa stanza dal soffitto imponente per poi disperdersi.

La modernità e lo sviluppo sociale e economico sono solo un qualcosa di impalpabile, un elogio per paralitici in medicina riabilitativa che credono di percepire dolore quando vengon punzecchiati dalla punta dell’ago, mentre cianciano, divagando, rimanendo orribilmente sempre se stessi.