Cose maledette e mai dette

Scusami se quella sera non sono tornato da te. Non è vero che ero in tangenziale e che non potevo uscire. Ti ho lasciata lì, sotto al portone di casa tua, erano ancora i giorni in cui vedevi in me qualcosa che non vedeva nessuno, nemmeno io. Mi hai chiamato piangendo, non volevi salire, non volevi parlare con nessuno. Volevi solo che io tornassi indietro, solamente che rimanessi un po’ lì con te. Scusami. Lo so che non vale niente, che le scuse servono solo quando una cosa non la si fa di proposito, però non te l’ho mai detta la verità. A te le cose non è mai servito dirtele e la velocità con cui, quella sera, mi hai mandato a fare in culo me l’ha fatto capire. Dire che avevo paura è banale quanto chiedere scusa, non ero nemmeno lontano, ero appena ripartito. Sarebbe bastata un’inversione e per terra c’era pure la striscia tratteggiata, un gioco da ragazzi. Per due anni ho guidato più piano, aspettandoti. Per due anni tornare a casa è voluto dire solo sperare che mi chiamassi, di nuovo, come quella sera. Per due anni ho voluto solo rincorrere la possibilità di rimediare, ma non si rimedia così facilmente a una chiamata senza risposta o a un aiuto non dato, bisogna fare i conti con quello che c’è. Li sto ancora facendo, ancora mi chiedo quanto la mia pochezza abbia stravolto tutto quello che stavamo costruendo. Scusami. Dovrei dirtelo, te lo dirò. Mi hai sempre detto che tornare indietro non si può, si può solo andare avanti. E se le scuse ci danno l’occasione di poter rimediare, le promesse ci danno l’occasione di ripartire. Ti prometto di esserci, di girarmi, di rispondere al telefono anche se non sarai tu a chiamarmi e di ascoltare le voci degli altri. Scusami se non riuscirò a mantenere queste promesse. Scusami se quella sera non sono tornato da te, avevo paura di me.

E scusami anche tu, se ti ho lasciato impazzire senza fare niente. Se il giorno in cui ti ho visto stravolto non ho capito che non saresti stato più lo stesso. Ci fumavamo le canne di sera, in primavera, erano le prime volte. Fumavamo presto perché avevo paura che i miei se ne accorgessero, parlavamo delle cose in modo più evidente, paradossalmente era un appuntamento con la realtà. Poi la tua testa se n’è andata e nessuno ha cercato di riprenderla. Provo un po’ di vergogna e hai sempre avuto ragione: sono un paraculo. Vorrei dirtelo, non te lo dirò. I nostri occhi non ci sono più.