Fotografare il sacro

È possibile fotografare il sacro? Immortalare in uno scatto la spiritualità di una preghiera?
Kazuoshy Nomachi ha inseguito questi interrogativi tutta una vita, ricercando il Sacro negli ambienti più ostili della Terra: nelle distese aride tibetane, nelle oasi sahariane, lungo il corso del Gange, nei cieli infuocati dell’Etiopia.
Sacro e Religione come due elementi chiave e fondamentali dell’esistenza umana, da intendere però nelle forme più pure e sublimate, lontane dalla corruzione e dalla violenza dell’uomo tipiche delle società consumistiche occidentali. Proprio questo rifiuto della realtà occidentale e della globalizzazione sempre più dilagante ha spinto Kazuoshy a concentrarsi su quelle popolazioni che vivono a stretto contatto con la natura.
Le sue foto mostrano riti collettivi e attimi individuali di preghiera, dove l’uomo è inserito nel contesto naturale, dove la simbiosi uomo-­natura è totale, dove l’uomo non è padrone ma parte. È una concezione della sacralità che ritorna al legame originario con la natura.
Una sorta di panismo greco in cui la natura stessa è Dio: il sorgere del sole lungo il Gange, il canto degli uccelli nell’infinità della savana e una notte stellata tra le dune possono essere manifestazioni totalizzanti della presenza di Dio.
La sacralità alla quale il fotografo mira non cade nella banalizzazione della religione, intesa più come schieramento di uomini che di anime, ma va a toccare quegli attimi dove l’uomo affida la sua anima, il suo essere, il suo io, a un’entità superiore, che la si voglia chiamare Dio, Allah o Shiva. Dalle sue fotografie trapela un interesse tutto particolare verso l’uomo, visto nella sua limitatezza e nella sua fragilità, che per sopravvivere cerca risposte in qualcosa di altro, di misterioso e sconosciuto.
È proprio questa predisposizione dell’uomo verso il soprannaturale, i misteri della natura e il Sacro, che affascina Kazuoshy. L’uomo che si fa vanto della sua singolarità si ritrova invece a doversi confrontare con un mondo popolato da uomini come lui, tutti accomunati da una tensione verso qualcosa di altro, di più grande, che va oltre la loro (la nostra) capacità cognitiva di ragionare e capire. Una spiegazione a ciò che non sembra aver spiegazione, un rifugio per la mente e l’anima, in cui il futuro non dipende più dalle nostre scelte o azioni, ma da decisioni di un’entità superiore.

“Le persone sono i miei soggetti preferiti. Mi piacerebbe continuare a ritrarre persone in preghiera. Le scene di preghiera o pellegrinaggio sono straordinarie per osservare le persone che, nell’atto di confrontarsi a mente sgombra con qualcosa di tanto elevato, si guardano dentro.”
(Kazuoshy Nomachi)

(di Francesca Puccetti)