Golden Age

Lasciato alle spalle il lungomare, passato l’inquietante edificio delle scuole elementari e il chiosco dei gelati, si trova un’innocua salita, in fondo alla quale spicca un’insegna verde e gialla. È il cinema Golden.
Un’arena all’aperto, il luogo perfetto in cui sbagliare film e, nel caso, sprofondare nei rigidi sedili di plastica verde, reclinare la testa e fingere di essere in un planetario.
Una sera dell’estate dei miei tredici anni, delle stelle, però, non mi fregava proprio nulla.
Era il mio primo appuntamento e la cosa mi provocava quello stato di frustrante eccitazione che è proprio del contatto con l’ignoto.
Ero da poco diventata l’elemento nuovo di una compagnia per me storica; al mare li vedevo divertirsi a pochi metri dal mio asciugamano e li invidiavo. Un giorno un ragazzo mi parlò e mi introdusse. Per questo gesto di misericordia pensai di donargli il mio cuore, finché non scese in spiaggia lui.
Lui era la trasposizione adolescenziale di un putto del Rinascimento in abiti da metallaro.
Nel grande cerchio di un gioco collettivo si rivolse a me con una frase oggettivamente riciclata ma che allora mi convinse di aver incrociato sul mio cammino un audace romantico.
Immerso nell’acqua fino al mento, come fosse uno strano essere sottomarino, pose un interrogativo «ci conosciamo» col tono giusto, da quattordicenne navigato. Tre giorni più tardi, eravamo seduti al Golden a vedere uno degli horror peggiori degli anni duemila. Ricordo un’atmosfera tra il magico e lo psichedelico, che contribuiva a rendere la mia ansia qualcosa di seriamente angoscioso e sincopato. Dopo esserci tenuti la mano per tutto il primo tempo, il piccolo Casanova decise che era tempo di dare concretezza alla cosa e mi baciò.
Credo sia stato un bacio lungo, impacciato e piacevole. Credo, perché di tutte le sensazioni fisiche che può dare un primo bacio trovo comicamente triste che io ricordi principalmente il battito accelerato del mio cuore ormai in gola, una specie di dissociazione corporea e un turbinio di immagini astratte che si affollavano in testa. Poi, felicità.
Dopo quel che rimaneva dell’estate, una lunga mononucleosi, pianti, treni, ore al telefono e qualche mese di relazione a distanza (che mi faceva sentire particolarmente adulta), finì.

Una sera di esattamente quattro anni dopo, ci siamo rincontrati in quello stesso cinema.
Avremmo potuto ignorarci, ma eravamo nel luogo giusto per ritrovarci.

Oggi siamo amici e a volte, ad Agosto, andiamo al Golden.