La borsetta color verde foresta

Quello che non ho dimenticato è la tua borsetta color verde foresta. L’hai tenuta sulle ginocchia tutto il tempo, in macchina, quella notte. Quante ore avremo passato così, sotto casa tua, a motore spento, sviscerando la Grande Questione mentre tu sfogavi il nervosismo aprendo e chiudendo la clip della borsa?
Clic-cloc. «Ti devo parlare» mi avevi scritto giorni prima. Lo sapevo, ti avrei risposto, ma avevo fatto finta di niente: «certo, dopo la festa tanto ti riporto a casa, no?».
Ho sempre detestato i silenzi, gli imbarazzi, le sospensioni e i sottintesi, ma quella notte sembrava che dalla tua borsa uscisse un concentrato di situazioni fastidiose e difficili shakerate insieme. Annaspavo. Tu guardavi fissa nel parabrezza e giravi intorno al mio presentimento più grande e più temuto. Eravamo in una bolla di gommosa tensione. Clic-cloc. «È che… lo so, sarà una delusione fortissima. Scusa, scusa, scusa – mi imploravi, e io già capitolavo – Però è che… per me non sei più solo un amico». Ecco, l’avevi detto. Un proiettile con il silenziatore.
Adesso toccava a me darti una risposta, ma non ne ero in grado. Cosa si dice alla tua migliore amica che ti ha appena confessato con la consueta sincerità e con piena consapevolezza del pasticcio, di essere scivolata nel più classico dei cliché relazionali? Come si trattiene il crollo di un edificio intero? Che rabbia, volerti bene e non essere innamorato di te. Che sofferenza, vederti in quel pantano, leggerti negli occhi la certezza dello strappo. Che detestabile scelta, stare zitto per mancanza di idee.
Clic-cloc. «Beh, non te ne eri accorto?». Intanto eri già amara, mi riversavi addosso ironia accusatoria. Certo che me ne ero accorto, ma cosa avrei dovuto fare? Smettere di frequentarti? Ci stavo bene con te, mi sentivo a mio agio, eri come una sorella. I neuroni in tilt, avevo proferito verbo: «ecco, lo sapevo, anche tu. Credevo che la nostra amicizia fosse diversa. Credevo…». Tra un clic e un cloc cadevano le tue lacrime, ora.
Attanagliato, avevo dato spago al razionale scandendo che no, doveva finire, era per te, mi avresti ringraziato. Ti ho trivellato il cuore e mozzato il fiato, adesso lo so. Ma quella notte, alle tre e qualcosa, ho sbaragliato solo cattiveria stupida. Non smetto di pensarci da quando hai chiuso la portiera, la borsetta verde foresta a tracolla. È la stessa che ti ho rivisto molte volte addosso mentre giravo l’angolo per non incrociarti, vergognandomi come un cane per non averti mai chiesto scusa.