L’arringatore

«Conio, questo siete. Tutti voi, dico», e il suo indice dall’unghia nera compie un mezzo giro a indicare gli avventori del mercato affollato. «Tutti voi bastardi che non mi degnate d’uno sguardo». Qualche occhio s’alza incuriosito. «Sguazzate nel fango, vi spaccate la schiena, ma io son sicuro che sentite nelle vostre anime putride e rotte un sussulto quando dico conio. Conio». Il maniscalco batte sul ferro una rapida sequenza di martellate. La voce del segaligno figuro, statua contorta montata in cima a una botte ormai vuota, sale di tono: «Siete fottuto conio per la corona, lassù, rintanata nel mastio riscaldato e riparata dalla pioggia e dal gelo. Siete fottuto conio per i più porci di tutti, loro, i clericali, che osano vendere posti di paradiso in cambio d’una moneta in più nella cassetta delle offerte. Siete ratti miserevoli che spolpereste spolperebbero anche i vostri propri fratelli se questi avessero l’ardire di mostrarsi deboli o custodi di un povero tesoro». Il suo sorriso si fa maligno quando scorge le guardie in arrivo. «Arrivano i mastini del duca, le guardie dei capetingi! Cani capaci soltanto di razziare e stuprare. Ladri della peggior specie, non dissimili dai briganti a cui dovrebbero dar la caccia». Il tintinnio del ferro apre la folla in due; qui e là qualcuno rumoreggia, ma nessuno osa ostacolare l’incedere marziale dei soldati di Borgogna. Il volto del capitano, offeso dal vaiolo, è una maschera di furore. «Gogna! Forca», urla il fiammingo scendendo dalla cassa. «A voi la peste e la fame, mentre i bastardi banchettano qui, a Digione, a Bruges!». I soldati tentano di acciuffarlo, ma questi scappa, si divincola, rovescia un carretto pieno di mele. «Conio siete e conio resterete», urla alla folla che lo guarda a metà fra lo stranito e il divertito. Una guardia riesce ad agguantarlo. Lui morde, scalcia. «Mollami, cane!» grida quello con il diavolo negli occhi, e gli molla un manrovescio. La fuga termina di fronte al bastone del capitano. La verga percuote l’uomo al fianco. Alla schiena. Alla testa. I calci degli altri tirapiedi zittiscono le sue proteste. «Pestatelo, massacrate questo porco. Fatelo tacere». Le urla di dolore diventano grugniti, poi guaiti, poi un debole pianto. Viene sollevato di peso mentre il capitano minaccia col bastone i villici che lo circondano. «Tornate al lavoro, voialtri». Una manciata di sterco compie un arco lento e si stampa sul naso del capitano. «Merda al duca» urla qualcuno dalla folla; l’aria si riempie di tensione.