L’ultimo volo

Il disgusto è arrivato, un giorno, casualmente.
Ha salutato educato, sollevando leggermente la falda del cappello, i suoi occhi d’oro avrebbero ammaliato chiunque.
Sconosciuto d’oltremare, mi ha ridotta in ginocchio con un solo sguardo, e i suoi palmi vetrati hanno frantumato in un secondo i brandelli del mio viso. 
Carezze su carezze, i vani tentativi di nutrire le mie notti a sberle e pugni, i suoi baci avevano il sapore del sangue.
Le carezze sono dure da insegnare, i pugni invece rimangono talmente impressi sulla pelle da non richiedere ulteriori spiegazioni. Come lampi, come stampi…
Quando anche le sue ginocchia hanno toccato terra ho provato un brivido nuovo, un fremito, che mi ha fatto pensare per un attimo di poter essere sua pari.
Sbagliavo, si era solo chinato a riprendere il cappello.
I suoi occhi neri, di una follia e una rabbia che mai più avrei dimenticato.
Aveva il sapore metallico del sangue quando è arrivato, lo stesso sapore quando è ripartito.
Ha attecchito e se n’è andato.
È rimasto nell’angolo umido e buio e ha proliferato in me, come un’infezione, incrostato sotto le unghie è rimasto in attesa di ogni singolo giorno di guardia bassa e si è rivoltato, ogni singolo giorno, come se il corpo fosse suo, come se l’ospitante fosse il vero ospite.
Ha raschiato via ogni barlume di umanità con le mie stesse unghie.

Adesso, adesso che qui attorno è solo pace, adesso che la terra è vicina, sempre più vicina, mi chiedo se non fosse solo l’ennesima scusa per rimandare il mio ultimo volo.