Lumache

I corpi molli delle due lumache scivolano l’uno sull’altro, dando vita a un nuovo organismo, una massa flaccida senza testa né culo tenuta insieme dalle secrezioni bavose. L’immagine del languido e vicendevole strusciare dei due molluschi prendeva forma nella mia testa mentre la lingua si divincolava in maniera maldestra nella bocca di Manuela.
Lei era di taglia piccola, vita stretta, occhi grandi, capelli neri a caschetto e jeans attillati. Era di destra. Ma in un modo che era per me era tollerabile. Aveva un fidanzato, Luca, doppio taglio con spazzola ritta in cima, polo Fred Perry, due anni e venti centimetri di spalle più di me. Aveva mani grandi, ed era di destra anche lui. In una maniera meno tollerabile di come lo fosse lei.
Era il 1998; nelle sale italiane era appena uscito American History X. Dopo aver baciato Manuela, ogni sera, prima di dormire, mi vedevo sdraiato sull’asfalto, la bocca a mordere il ciglio del marciapiede, in attesa dell’impatto tra l’anfibio di Luca e il mio cranio.
In mia difesa, posso dire che il bacio capitò. La mia bocca assecondò l’ordine naturale delle cose, nello stesso modo in cui la chiocciola inconsapevolmente secerne la sua scia di vischiosi umori.
Alcuni studenti danesi, temporaneamente ospiti nella nostra scuola, stavano per tornare in patria. Tra le mura di una stanca sala condominiale si consumava una briosa festa di addio tra ultimi, tardivi e disperati tentativi di approccio amoroso e selvagge, sfinenti indianate. Io e Manuela ce ne stavamo in disparte seduti su due sedie bianche in plastica.
Mentre parlava di quanto fosse fascista Luca, la mia mente rovistava inutilmente tra i ricordi cercando un indizio che giustificasse quella intimità inaspettata. Un sorriso abbozzato nei corridoi dell’istituto, un timido scambio di sguardi durante un’assemblea, la sorniona richiesta di una accendino o una sigaretta nel cortile della scuola.
All’improvviso si interruppe e appoggiò pesantemente la testa sulla mia spalla, come se volesse scomparire tra le ossa di quel ragazzo emaciato, eclissarsi tra la clavicola e la scapola. Invece trovò la forza di alzare il capo e con un movimento naturale mi baciò.
– Cazzo, sto baciando una zecca.
Disse solamente così. E poi tuffò ancora la sua lingua nella mia bocca, mentre io riuscivo a pensare solo alle lumache. Vedevo le due masse gelatinose accoppiarsi a pochi centimetri dal mio zigomo, ne percepivo i movimenti melliflui con la coda dell’occhio, mentre mordevo l’asfalto freddo in attesa dell’impatto.