Mul on kahju

“Aleksandr!”
Il bambino si pietrificò all’istante, lasciando cadere ciò che stringeva in mano. La pallottola rossiccia atterrò sul parquet con un piccolo tonfo.
La mamma si precipitò verso il fagotto di pelo. Era già troppo tardi. Il criceto giaceva immobile, la testolina piegata nel modo sbagliato.
La donna si voltò di scatto verso il bambino, lo afferrò forte per le braccia e lo scosse: “Capisci cosa hai fatto? Hai ucciso Pael”.
Alex aprì la bocca. Subito la richiuse.
“Sai cosa significa?”, la mamma gli strinse le guance morbide e lo obbligò a girare il collo verso la gabbietta, dove una cricetina bianca e marrone si aggirava sulla segatura annusando tutt’attorno, smarrita, “Che Pael non tornerà mai più a casa. Che Lumi rimarrà sola”.
Qualcosa si strinse nella gola di Alex. Non capiva perché la mamma non potesse semplicemente rimettere Pael nella gabbietta, accanto a Lumi, ma tutte quelle urla gli mettevano paura.
“Chiedi scusa”, disse la mamma con la voce che tremava, “Chiedi scusa per avere ammazzato il povero Pael. È l’unica cosa che puoi fare, ora”.
Alex aprì di nuovo la bocca, ma il nodo laggiù in fondo era stretto troppo forte. Di nuovo non uscì nessun suono. Una tristezza infinita gli risalì dal petto. In quel momento aveva una terribile voglia di piangere.

L’uomo voltò le spalle al mare.
Persino in giorni come quello era possibile scorgere una sagoma grigiastra attraverso la cortina di fiocchi di neve. Quando era piccolo sua madre gli diceva che quello era il porto di Helsinki, ma ora sapeva bene che la Finlandia distava oltre ottanta chilometri e che si trattava solo dell’isola di Naissar.
I suoi piedi lo conducevano verso Kadrioru Park ed i suoi sentieri appena visibili sotto la neve tra cui sempre gli piaceva passeggiare, perfino di inverno. Si strinse nella sciarpa. Stava attraversando il ponte sul lago che conduceva nel cuore del parco, sbuffando vampe di vapore che gli si arrampicavano sugli occhi e fin sopra il cappello quando, traverso i fumi bianchi, distinse un’ombra femminile familiare.
Irina era veramente lì, emergeva dalle nebbie come una terra incantata. Gli sarebbe bastato pronunciare una formula magica per dissipare i fumi e lasciare che lei lo vedesse. Parole che un tempo conosceva, ma che per orgoglio, egoismo e superficialità aveva scordato.
Così si strinse nella sciarpa e lasciò che i loro giacconi si passassero accanto, senza sfiorarsi.
II petto gli si riempì di tristezza. In quel momento aveva un’infinita voglia di piangere.