Nella cattiva sorte

Sveglia alle 5. Il cane mi guarda implorante, “dormi e non far casino” gli dico. Le 5 di domenica mattina inquieterebbero chiunque. L’unica cosa che ho in testa è “pane”, un secondo prima di pensare “caffè” e “sul serio sto parlando col cane?”.

800 grammi di farina, lievito, olio di oliva, sale. E anche se non devi impastare, questi ingredienti dovrebbero sempre nascondersi negli armadietti delle cucine. All’occorrenza, ci sono. Arriccio le maniche della felpa, mi appunto i capelli, e inizio. Sciolgo il lievito nell’acqua con un po’ di malto, prendo la ciotola più grande che ho, setaccio la farina, aggiungo il composto liquido, il sale e l’olio, lentamente, sento le mie dita attaccarsi le une alle altre, e mi ci immergo così profondamente che non so dove finisce l’impasto e inizia la mia mano. Penso a lui che mangerà questo pane, penso a mia madre che lo assaggerà per prima, penso a mio padre che controllerà che non abbia sbagliato, correggendomi se serve. Penso che nonostante la notte non dormano, nessuno di loro, la mattina abbiano bisogno di nutrirsi per sostenere il peso dell’insonnia, e di un’altra giornata che pesa man mano che arriva la sera. Un altro giorno a cercare di ammazzare questa crisi che sembra ricrescere tutte le volte che si riesce in qualche modo ad amputarla. Chi lo sa quando finisce, perché finisce, prima o poi. Ma non si può rimanere denutriti nella cattiva sorte, o se ne esce il ricordo di quel che si era, e il resto si lascia a quell’angolo di vita che toglie sete, fame, sonno, allegria, idee, pace, luce e aria.

Loro non dormono, per la paura che io non possa dormire, un giorno.

Nel momento stesso in cui ascolti il rumore del buio, ti svegli. Anche se è domenica, anche se sono le 5 di mattina. E senti il bisogno di essere in grado di far qualcosa anche tu, perché non puoi dormire mentre loro sono svegli, perché ti senti in colpa per aver comprato in modo distratto quel pane che andava aspettato nel frigo mentre lievitava, e guardato nel forno mentre cuoceva. Senti il bisogno di farina, acqua e lievito, di ingredienti semplici da riscoprire come stanze di una casa che nessuno abitava da troppo tempo.

di Serena Michelozzi