Quel che é mio é mio, quel che é tuo é mio

Mi hanno sempre insegnato che se voglio una cosa devo prendermela, che i regali non piovono dal cielo e la felicità neppure. Questo è quello che pensavo mentre urlavo contro quello che era stato il mio compagno di vita, mio marito. Cercava di farmi ragionare, ma io non ascoltavo, non volevo ascoltare. Provavo solo rabbia, nient’altro: “Tu non lo avrai mai! Lui è mio figlio! Sono io che lo mantengo, sono io che faccio sacrifici per crescerlo, per dargli la serenità che merita.” Lui cominciò a pregarmi: “L. cerca di ragionare, non possiamo andare avanti così, ti prego, lui è mio figlio! Non importa quanto ci siamo fatti del male l’uno con l’altra. Perché mi stai punendo? Perché mi sono rifatto una vita?”. Eccola lì pensavo. La sta prendendo come se fosse una punizione, un torto che gli sto facendo. Perché non capisce che io non posso separarmi da lui? Dal mio bene più grande? L’ho creato da me. Solo ora capisco cosa si prova ad essere avari, quando non riesci a condividere il tuo bene più prezioso perché hai paura che ti venga tolto, e a me di cose ne sono state tolte tante. Alla paura ho reagito chiudendomi come una chiocciola nel suo guscio. Non ho voluto stare a sentirlo, né lui né le sue stupide suppliche, perché non volevo cedere di fronte al suo dolore, non volevo farmi toccare da questo. Sapevo che se l’avessi ascoltato anche solo per un attimo sentimenti di compassione mi avrebbero colpito e sarei ceduta a un compromesso. Sono stanca dei compromessi. Per la prima volta sento qualcosa che mi appartiene e non ho intenzione di permettere a nessuno di portarmelo via. D’ora in poi non mi farò più portare via niente.
Fin da piccoli ci insegnano a distinguere quello che è “mio” da quello che è “tuo”, quello che è “nostro” da quello che è “loro” e sembrano tutti sottolineare l’importanza di questa distinzione, ritendendola un principio essenziale, senza il quale non si sopravvive. Non importa chi sia l’altro: fratello, amico o coniuge, la cosa importante è non permettergli di portarti via nulla e se possibile portargli via tutto. Fu così che con una calma gelida che mi scorreva nelle vene gli dissi di andarsene. Lui mi guardò come sbalordito, allucinato. Non riusciva proprio a capire quello che avevo dentro. A testa bassa se ne andò lasciandomi sola a piangere, perché sì: avevo raggiunto quello che volevo, ma tutto ha un prezzo e il dolore che ho visto nei suoi occhi sarà il mio per il resto della vita.