Ti va se una di queste sere usciamo?

Fine settembre: in un Paese tutto case e chiesa sperduto fra colli e pianura, si consuma una serata d’autunno tersa, di un fresco pungente, da felpa di pile e pantaloni lunghi. Il sole, che infiamma uno straccio di nubi sfumate appena, è una palla di rosso vibrante che scivola dietro monti cupi come il piombo. L. passeggia con il cane a passo spedito, costeggiando un campo giallo e rinsecchito, la mente in subbuglio, che cerca di fare un pò d’ordine fra appuntamenti e aspettative, routine e sentimenti, cose così.
Se né uscita al volo, infilando un paio di scarpe da ginnastica mordicchiate, tirandosi dietro l’eleganza d’ufficio di un completo color cachi a buon mercato. Il vento le soffia forte addosso, scuote un filare d’alberi che frusciano come maracas, tant’è che quei passi li sente lì lì, all’ultimo, e lo sguardo lo alza di scatto, quasi con ostilità.
Dall’altra parte del marciapiede, sta inchiodato E., fulminato da quell’occhiata nel bel mezzo di un tiro di canna a polmoni pieni, in tuta e felpa da svacco. Impresentabile. L. dice, hey, e quello risponde con un ciao urlato, cacciando una mano in tasca ad abbassare il volume delle cuffiette.
Ed è proprio in quel goffo andare-verso-scappando-da, che i loro sguardi si incastrano in un secondo denso, e ad entrambi scappa un mezzo sorriso, subito soffocato. Lei allora si volta subito dietro al cane, lui infila l’altra mano in tasca, facendo finta di niente, e tirano dritti verso casa, portandosi dietro un deja-vu’ che per riaffiorare se la prende comoda, infilandosi di nascosto fra le pieghe della notte che scende in Paese.

Perché quella stessa sera di dieci anni prima, era stato il loro primo, vero appuntamento, dopo un’estate passata a girarsi intorno fra festicciole innocenti, oziose giornate in piscina e pomeriggi a far le vasche fra oratorio e campetti. Come faccia poi una qualche situazione, per quanto noiosa o banale, a diventare tutt’ad un tratto vivida e intensa, quando ci sono due che si guardano di continuo, e si piacciono, resta un mistero. E si che faccia a faccia, quei due si parlavano appena, tant’è che le chiacchierate lunghe le facevano al cellulare, come se quella distanza amplificasse ogni parola, lasciando la possibilità di immaginarsi, persi nel mentre di qualsiasi cosa stessero facendo. Così, quando le giornate avevano iniziato ad accorciarsi, lei s’era fatta forza, e gli aveva scritto una cosa del tipo, ti va se una di queste sere usciamo?

S’era messa un abitino da tennis in cotone smanicato e un cardigan leggero, anche se faceva freddo. I capelli li aveva raccolti in una treccia morbida fatta in due minuti, nell’indecisione del momento. Lui s’era infilato una felpa con la zip, giubbotto spartano tutto toppe e dei pantaloni scuri, macchiati d’erba. Era l’ultimo spettacolo del cinema all’aperto in Paese. Davano un colossal dell’anno prima, che lei aveva visto una mezza dozzina di volte, per via di quell’attore lì. Seduti su dei sedili in plastica dura, popcorn e tutto, L. aveva passato il tempo a sbirciare E., di nascosto, fra una scena clou e l’altra. Finito il film poi, gli aveva proposto di accompagnarlo verso, a patto che si fosse deciso a prestarle quella benedetta felpa.
Così avevano preso a ridere e chiacchierare, tant’è che senza accorgersene, si ritrovarono di fronte casa di lui, gli occhi persi l’uno dentro quelli dell’altro, a sorridersi. L. questo se lo ricordava bene, aveva aspettato per un mezzo minuto lungo una vita, ed E., che pure ricordava chiaro e tondo, era rimasto pietrificato. Allora s’era fatta avanti una sensazione, o meglio una fantasia, di quelle che le parole sono solo d’impiccio, che basterebbe un’attimo, uno sfiorarsi. E invece lui aveva teso il braccio e lei gli aveva reso la felpa, dicendosi ciao così a distanza, mentre già se ne scappavano a casa. Poi si erano anche scritti, facendosi qualche squillo, ma niente di più. Il primo anno delle superiori, con tutti i suoi problemi e le novità, prese il sopravvento. Il futuro iniziava a fare capolino, e tutto quel loro potenziale, era morto così sul nascere. Tranne un qualcosa che era rimasto sepolto, in attesa. E si che quell’utopia negli anni l’avevano inseguita un pezzo. Ma affrontate un tot di relazioni stile cicli di dipendenza-overdose-rigetto e cornificazioni varie, alla fine avevano perso le speranze.

Così quando l’orologio già batteva le undici, se ne stavano entrambi online, annoiati. Ed è un attimo allora immaginarsi a chiacchierare, a fare una passeggiata o vedersi un film. A stare semplicemente in due. Ma le cose si sa non sono più tanto facili e immediate. O almeno così sembra. E dire che a volte basterebbe solo un pò di coraggio da tastiera.