Tra gli uomini il guerriero

Aveva lavato con cura le ascelle, tagliato le unghie e la barba. Valerio si guardò. Assomigliava a suo padre la domenica mattina. Si passò una mano sul petto. “Hana wa sakuragi, hito wa bushi”, tra i fiori il ciliegio, tra gli uomini il guerriero. Se l’era tatuato in modo da poterlo leggere allo specchio, una settimana dopo che suo padre se n’era andato. L’avevano trovato con una corda intorno al collo nel magazzino della fabbrica. Era già passato un anno da quel giorno. Dopo l’arrivo dell’ennesima cartella di Equitalia aveva venduto tutto senza dire niente, per saldare il debito con l’Impero. Aveva combattuto come un samurai. Nessuno doveva prendersi quello che era suo. Aveva dato alla sua sua famiglia la possibilità di ripartire da zero. Suo padre era così, nessuno doveva preoccuparsi. Ma non aveva fatto i conti con un pagamento arretrato.

“E dove li trovo io, quindicimila euro?”
“Ci penso io mamma”, aveva risposto Valerio.
“Sei proprio come tuo padre”, aveva sorriso un po’. Poco però, perché sapeva di aver ragione.

Chiuso in bagno, seguì le vene nell’incavo dei gomiti, sui polsi, fino alle mani callose. Aveva 35 anni, una laurea in farmacia e lavorava in un ristorante 14 ore al giorno.
Prese la scatola di cartone che si trovava sopra lo specchio e l’aprì.
Sua madre guardava la televisione.

“Vado”, le diede un bacio in fronte.
“Torni?” chiese mentre lui usciva di casa.
Forse, mamma. Forse.

Si fermò di fronte al palazzo di Equitalia. Alcune persone entravano nell’edificio. Una marcia silenziosa, come una processione. Ma non c’era nulla di religioso. Solo un disperato bisogno di sopravvivenza. Poter comprare da mangiare a moglie e figli. Risparmiargli le pene imposte a chi non riusciva a pagare quelle tasse ingiuste. Erano tutti lì per salvarsi dai colpi di quel temibile esercito di assassini professionisti. Stavano devastando tutto. Centinaia di aziende avevano già chiuso.
Sfiorò la pistola che aveva nascosto nella cintura dei jeans. Sarebbe entrato e avrebbe fatto fuoco. Poi sarebbe scappato sulla collina dove andava con suo padre, da bambino. Lì avrebbe rivolto la canna di metallo verso di sé. Un colpo. II vento avrebbe staccato i fiori di ciliegio dai rami. Minuscoli proiettili nell’aria. Le fronde dei salici piangenti avrebbero ondeggiato. Nubi scure si sarebbero mosse lentamente, disegnando draghi di fuoco e strane figure in cielo.
Entrò e percorse il corridoio fino all’ufficio indicato sulla lettera.
Con la punta delle dita accarezzò il calcio dell’arma.

(di Daniela Fabbri)